La dieta ecologica, o anche sostenibile, si basa sul concetto di poter migliorare la salute del pianeta e la nostra, dal Brasile , arriva l'indice che valuta l'impronta ecologica.
Ormai già da diverso tempo il tema della sostenibilità ambientale è stato abbracciato e accolto in diversi campi, dalla moda alla cosmetica fino alla nutrizione. In quest’ultimo settore è proprio la dieta” green” o ecologica a trainare le redini del discorso, puntando a migliorare la salute del pianeta e la nostra.
Anche la dieta può essere “green”. Non c’è più solo l’apporto di nutrienti e calorie e fare la differenza. I ricercatori della Facoltà della salute pubblica dell’Università di San Paolo, in Brasile, hanno infatti sviluppato il Planetary Health Diet Index, l’indice che valuta l’impronta ecologica delle diete. Più è alto l’indice, minore è l’emissione di gas serra generati nella produzione del cibo consumato e maggiore è la qualità nutrizionale della dieta.
Dieta ecologica: che cos’è?
La dieta ecologica, detta anche sostenibile, non è una semplice dieta alimentare, ma un vero e proprio stile di vita e un modello nutrizionale, che si fonda sul concetto di “dieta poco impattante”, ovvero di poter migliorare la salute del pianeta e quella nostra. In altre parole, si tratta di una dieta che, secondo la letteratura scientifica, è in grado di mitigare le emissioni inquinanti, maligne appunto per l’ambiente che ci circonda. Quindi, possiamo affermare che questo tipo di regime alimentare ha una duplice funzione.
Da una parte, mira a prevenire patologie dannose per il nostro organismo come quelle legate ai disturbi dell’alimentazione (obesità, diabete) e dall’altra, a ridurre l’inquinamento atmosferico, dei mari e della terra.
Gli scienziati brasiliani hanno notato che i punteggi più alti sono costituiti da diete a base di frutta, verdura, cereali integrali e fagioli più che da alimenti di origine animale e ultra lavorati, ricchi di grassi e di zuccheri. I risultati che hanno portato alla realizzazione dell’indice sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Nutrients e hanno visto la partecipazione di 14.779 persone, con dati raccolti tra il 2008 e il 2010. Tutto è partito dal Rapporto Eat-Lancet, che divide gli alimenti in 16 gruppi. Il punteggio assegnato dai ricercatori brasiliani parte da 0 e arriva a 150. Secondo lo studio, gli anziani seguono di più un’alimentazione sana e sostenibile, così come le persone che non fumano e che praticano attività fisica. Chi ha punteggi più alti, inoltre, ha valori di pressione sanguigna più bassi e minori possibilità di essere in sovrappeso. Nel Rapporto Eat il professor Walter Willett della Chan School of Public Health dell’Università di Harvard, spiega che «la transizione entro il 2050 verso diete sane imporrà notevoli cambiamenti nelle abitudini alimentari».
«La quantità di frutta, verdura, frutta a guscio e legumi consumata a livello globale dovrà raddoppiare, mentre quella di alimenti come carne rossa e zucchero dovrà ridursi di oltre il 50% – aggiunge – Una dieta ricca di alimenti di origine vegetale con piccole quantità di cibi di origine animale comporta benefici sia per la salute che per l’ambiente».
Cinque sono le strategie che vengono suggerite dagli studiosi
Puntare a un coinvolgimento internazionale e nazionale per la transizione verso diete sane, riorientare le priorità agricole da una produzione di quantità a una produzione di qualità, intensificare in modo sostenibile la produzione alimentare per ottenere prodotti di alta qualità. Inoltre, propongono una governance di terre e oceani che sia solida e coordinata anche per conservare la biodiversità e di ridurre almeno della metà le eccedenze e gli sprechi alimentari in linea con gli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Onu. Secondo il Rapporto, fatto 100 il “Confine della salute” a livello mondiale il consumo di carne è al 288%, di verdure amidacee (come le patate) è al 293%, di uova al 153%. Nell’Africa subsahariana l’unica categoria che eccede il Confine è legata alle verdure amidacee, al 729%. In Nordamerica la situazione è ancora più squilibrata: l’uso di carne è al 638%, di verdure amidacee al 171%, di uova al 268%, di carne bianca al 234%, di latte e derivati al 145%. Uno squilibrio che, soprattutto in proiezione, può farsi sentire profondamente nella sostenibilità ambientale ma anche nei suoi effetti che può avere nella salute.
Le diete italiane sono sempre più “verdi”
Cambiano gli interessi dei consumatori e in Italia il consumo di prodotti più sostenibili cresce sempre di più. Quelli a base vegetale (quindi, non solo frutta e verdura ma anche burger e affettati) sono ormai entrati nelle cucine di 10 milioni di famiglie in Italia. E non si tratta solo di vegani e vegetariani, anche dei flexitariani, cioè di tutti quelli che, comunque, vogliono ridurre il consumo di proteine animali. A dirlo è uno studio condotto dall’Unione italiana food. I prodotti a base vegetale compongono un mercato totale di 385 milioni di euro ,+3,7% in un anno a settembre 2020 secondo dati Iri. Il 42% degli italiani dichiara di aver aumentato ulteriormente nell’ultimo anno il consumo di frutta, verdura, cereali, pasta integrale e di cibi e bevande a base vegetale. Lo studio di mercato mostra che i motivi di salute (76%) e quelli etici (63%) sono le principali motivazioni di interesse dei consumatori per alimenti a base vegetale. Nel dettaglio emerge che quasi 1 italiano su 3 (29%) si dice intenzionato a introdurre i burger “veg” (o prodotti alimentari simili) nella propria dieta. Infine quasi 2 italiani su 3 dichiarano di interessarsi alla sostenibilità e 3 Italiani su 4 si dicono disposti a pagare di più per un prodotto eco-friendly.