Cultura Modica

La chiesa di Santa Maria di Betlem di Modica e il suo mistero

Possiamo immaginare il ruolo prestigioso che la chiesa aveva avuto nel Medioevo

https://www.ragusanews.com/immagini_articoli/05-08-2021/la-chiesa-di-santa-maria-di-betlem-di-modica-e-il-suo-mistero-500.jpg La chiesa di Santa Maria di Betlem di Modica e il suo mistero


 Molte notizie riguardanti la chiesa di Santa Maria di Betlem di Modica oggi provengono non da una vera e propria ricerca storica mirata bensì da studi di carattere architettonico o storico artistico.

Purtroppo in passato si è dato troppo valore alla narrazione di autori antichi quali il Carrafa, il Solarino e altri nello studio della storia di Modica e della Contea di Modica, studio  troppo spesso basato su i “si dice” e su i “forse” mai su documenti autentici correttamente trascritti e interpretati.

Ad essere penalizzata è stata la verità storica che oggi faticosamente si cerca di ricostruire.
Dalle “Rationes decimarum Italiae” relative al 1308-1310 con riferimento a Modica si sa che la chiesa di S. Marie de Bethelem apud casale Mohac inventa est per primos subcollectores valere unc. 1, ½.

Se si fa il raffronto con il valore stimato per la chiesa di San Matteo di Scicli e per le altre di San Giorgio e di San Pietro di Modica, subito si comprende come il tempio godesse di una certa floridezza da un’epoca molto antica.
La ragione di tale considerazione sicuramente è da attribuire al fatto che la chiesa, nel Quattrocento figurante extra moenia, era la gancia dell’Abbazia di Terrana.
Con un linguaggio molto moderno oggi diremmo la sua filiale di rappresentanza nel territorio della Contea di Modica.

Grazie a questo documento delle Decime possiamo immaginare il ruolo prestigioso che la chiesa aveva avuto nel Medioevo e aveva agli inizi del Cinquecento, periodo nel quale, allentando i rapporti con l’abbazia di Terrana che era stata commendata come informa il Pirri nel 1504, comincia a vivere di storia propria. Nasce, infatti, in essa un’importante confraternita che ha lo scopo non solo di soprintendere alla manutenzione dei luoghi, ma anche e soprattutto di destinare la chiesa a luogo di sepoltura dei suoi adepti.

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In questo preciso momento della sua storia si situano il vero salto di qualità e il grande mistero.
Rocco Pirri nei suoi scritti sulla Chiesa siracusana alla voce Modica così c’informa:

Hospitia olim erant aliorum religiosorum. 1. S. Maria de Bethleem, quae subjicitur alteri ejusdem nominis de Terrana in regione Calatahieronis: nunc confraternitas est fratrum ex concessione Abbatis Commendatarij. Ab anno 1634 indultum est huic sacrae aedi, ut ab ea Eucharistiae Sacramentorum in die ejus solemnitatis educeretur.

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Ergo, la chiesa aveva anche un “hospitium”, servito con molta probabilità dalla confraternita, per accogliere pellegrini, indigenti e malati mentre nel 1634 sarà elevata a Collegiata.

In buona sostanza, il mistero ruota intorno alla “cappella dei confrati”, oggi impropriamente chiamata “palatina”, esistente dentro la chiesa e nella quale sarebbe stata individuata l’antica sepoltura dei confrati della chiesa.
A questo punto è necessario ragionare su alcuni documenti riportati alla luce dalla più recente ricerca archivistica.

M. R. Nobile in una sua pubblicazione del 2009 colloca tale struttura tra gli anni trenta e gli anni sessanta del Cinquecento basandosi su un testamento (1563) nel quale un maestro d’opera, un tale Nicola Tudisco che aveva lavorato in essa, esprimeva il desiderio di trovarvi sepoltura.

Tale documento che Nobile utilizza è tardo e oggi superato.
Alla luce di nuove scoperte è possibile definire meglio il periodo di costruzione della cappella.

Il 10 settembre 1531, ind. X, Beatrice, moglie del defunto Antonio Catalano, nel suo testamento custodito presso l’Archivio di Stato di Ragusa, sezione di Modica, disponeva che il suo cadavere fosse tumulato nel tempio della gloriosa Vergine Maria di Betlem nella sepoltura riservata alle mogli dei confrati della chiesa. La sepoltura era detta degli Jacobi.

Jn primis namquam ipsa testatrix elegit sibi sepulturam suj cadaveris inter templum gloriose virginis marie de bethjleem intus seputlturam qonjugum qonfratrum ditte ecclesie seu di li Jacobi.

Questo documento, che è davvero venerabile, solleva due importanti interrogativi.
Il primo riguarda l’esistenza dell’attuale cappella dei confrati.
La signora non la indica e il notaio non la registra.
Il secondo riguarda la sepoltura delle mogli.

In questo caso sia la signora sia il notaio sono molto precisi. Situano il sepolcro delle donne dentro il tempio e lo indicano come appartenente in un passato possibilmente prossimo alla famiglia Jacopo.

Il testamento ci svela così che le sepolture dei confrati aventi diritto erano due, una per i confrati stessi e l’altra per le loro consorti.
In quel tempo spesso ciò accadeva. Non è né curioso né strano.
Considerato che la signora muore nel 1531 ed era ormai vedova, si presuppone che il marito fosse stato già inumato nella chiesa. Ma precisamente dove? In quale area del tempio se la cappella dei confrati non è citata?

Una nota, inserita nel protocollo del notaio Vattipedi Pera il 4 settembre 1537 custodito tra i fondi dell’Archivio di Stato di Ragusa, sezione di Modica, c’informa, come secondo documento, che dentro la chiesa di S. Maria di Betlem la famiglia Mazara aveva la sua sepoltura nella cappella di S. Agata.
Era successo che Damirata, moglie del defunto Antonio di Mazara, senioris, era morta.

Gli eredi Mazara si riunivano davanti al notaio e pretendevano che questi redigesse una nota nella quale imponevano agli eredi della signora di legare un censo alla cappella per una messa quotidiana in suffragio della defunta come corrispettivo del diritto di sepoltura. Se l’entità del censo non fosse stata tale da poter assicurare la celebrazione, i Mazara lasciavano liberi gli eredi di disporre della salma della loro congiunta come meglio credevano.

La nota sottende una relazione non certamente pacifica e cordiale tra la famiglia Mazara e gli eredi di Damirata. Anche nel Cinquecento le liti tra eredi erano frequenti e simili a quelle dei nostri giorni.

ad presens defunta fuit et est mag/ca ditta damirata ultima uxor ditti m/ci antonii de mazara nulla per eam facta elevare sepulture et ascendentis ipsi mag/ci qualiter ipsa fuit uxor prefati condam (Mag/ci Antonij De Mazara, senioris, ndt) cum pacto et qualitate pro ut infra et non aliter nec alio modo qontenti fuerunt et sunt  quod corpus ipsius mag/ce sepelliatur et jnterrretur jn ipsorum cappella sub vocabulo sante agate qua est intus venerabilem ecclesiam sante marie di bectalem terre predicte/ cum hac pacto et lege ac qualitate et non aliter ut adversus heredes ipsius ditte mag/ce seu sui donatarij aut illi qui habent jus et  alium jn et super bonis et proventus mag/ce debeant et teneantur emere tot jus census ipsis sufficiet pro unica missa dicenda quolibet edogmata in perpetuum jn dicta cappella pro remedio et salute anime ipsius mag/ce et casu quo dicti heredes aut donatarijs seu illi qui jus habent supra dictis bonis de hac non qontenti fuerint et non luerint predicta agere et adimplere jn tali casu mag/ci ipsi valeant et possint corpus ipsius mag/ce ditte exumari facere de dicta cappella et loco et illiud reponi facere in fovea ipsius ecclesie

La cappella oggetto della nota era la cappella di Sant’Agata che attualmente si trova alla sinistra dell’altare maggiore.
Il terzo documento, infine, è un atto che, se non fosse vero, definirei senz’altro comico. In esso Antonino de Mazara major il 28 dicembre 1541 cedeva i diritti di alcuni censi al Rev/do Antonio de Milizia il quale s’impegnava in un patto vitalizio a celebrare messe per l’anima del Mazara a cominciare da subito, nonostante ancora il committente fosse vivo, in ottemperanza alla pia disposizione che vale più unam missam in vita quod mille post mortem.

Il Milizia, giurando con la mano sul petto secondo l’uso sacerdotale, in concreto prometteva di celebrare tre messe settimanali nella cappella di Sant’Agata come descritta sopra. Una il venerdì, l’altra il sabato e la terza di domenica. Oltre a queste tre messe il Milizia s’impegnava a celebrare per tre anni consecutivi una messa ogni notte di Natale sempre in quella cappella.

dittus ven/ (Milizia, ndt) se obligavit et obligat servire ac promisit et promittit cum juramento tatto pectore dicere et habere tres missas pro qualibet ebdomada viz unam in die veneris unam jn die sabati et aliam internam jn die dominico jn altari preditti mag/ci intus eius cappellam jn ecclesia sancte marie di bectalem sub vocabulo sancte agate pro anima ipsius mag/ci jn remissione suorum peccatorum durante vita ipsius ven/ et post mortem ipsius ven/, mag/cj filij heredis ipsius mag/cj antonij de mazaria possint et valeant eligere alium presbiterum ad dicendum supra quas missas pro ut preditt/ oz 1 #x ac etiam ipse ven/ promissit dicere tres missas et jn sacratissima nocte nativitatis d/ni n/ri Jesu xpi cuiuslibet anni jn ditto altari pro anima preditti mag/ci (Antonij de Mazara, ndt).

Il Reverendo, dopo la sua morte, lasciava però liberi gli eredi del Mazara di eleggere un beneficiato a loro piacimento.
Questi tre atti, rogati da notai diversi di Modica a pochi anni di distanza l’uno dall’altro, non accennano ad alcuna sepoltura dei confrati. Il terzo rogito addirittura fa pensare che la cappella di Sant’Agata fosse la più importante della chiesa in quel tempo, se la potente famiglia Mazzara chiede e ottiene il privilegio di celebrarvi la messa della notte di Natale.

Con molta probabilità la cappella dei Confrati, così come la conosciamo oggi, non doveva neppure esistere al tempo in cui gli atti furono stipulati o, forse, era appena un cantiere, se il Vescovo di Siracusa, nella visita pastorale compiuta alla chiesa di Modica nel 1542, la registrava in costruzione.

Le due cappelle, sia quella dei confrati sia l’altra di Sant’Agata, indicano comunque, fugando ogni ragionevole dubbio, che nella prima metà del Cinquecento l’orientamento della chiesa era quello attuale.

Eventuali trasformazioni rispetto alla chiesa più antica, se mai ce ne furono, dovrebbero risalire ad epoca anteriore, considerando che la chiesa agli inizi del Trecento disponeva della rendita più alta tra le chiese di Modica e del circondario.

Bibliografia
Archivio di Stato di Ragusa, sezione di Modica (ASM), Notai.
Archivio storico della Diocesi di Siracusa (ASDS),Bononiae Visitationis & Litterarii, Vol. V, 1558, f. 363.
Nifosì P., Modica arte e architettura, Modica 2015.
Nobile M. R., Tra Gotico e Rinascimento: l’Architettura negli Iblei in G. Barone, M.R. Nobile, La Storia ritrovata, Ragusa 2009, pp. 49-93.
Pirri R., Sicilia Sacra disquisitionibus et notitiis illustrata, 2 voll., Palermo 1733.
Rationes Decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Sicilia, a cura di P. Sella, Città del Vaticano, 1944.
 

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