Cultura L’intervista

Paolo Conte compie 85 anni: «Non suono più, sento incombere il futuro»

Il grande cantautore non scrive un nuovo brano da oltre 7 anni: "La sera ascolto musica classica in tv"

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 Asti - «Mai ho sentito come adesso incombere il futuro. Purtroppo si capisce ben poco di quel che succede, si riceve una informazione spesso contraddittoria». E’ un Paolo Conte tanto per cambiare amaro, quello che concede un'intervista alla Stampa in occasione del suo 85esimo compleanno. Ci saremmo meravigliati del contrario: Conte è sempre stato malinconico. Un artista verso cui noi di Ragusanews nutriamo una devozione speciale, che ci ha spinto anche ad analizzare alcuni testi come Azzurro, Bartali e Wanda.

L’ultimo, splendido, disco di inediti risale ormai al 2014, Snob: «Mi è passata la voglia - confessa -. Da tempo non tocco il pianoforte, la sera sento classica su Sky. Ho sentito una bella serie di Rachmaninov. Non ho voglia di comporre ma ho già avuto periodi di astinenza lunghi, è solo questione di aspettare le ispirazioni; se arrivano arrivano, però sono sempre a contatto con l’arte». Come in Tom Waits - altro artista musicalmente sparito dai radar, a cui è stato spesso e a torto imparentato - il cinema ha preso il posto della musica, così in Conte è subentrata la pittura: «Mi è tornato il vecchio vizio del disegno, ho scoperto che mi piace usare i pastelli su cartoncino nero. Non mi danno grandi sorprese, ma è divertente».

Conte è sempre stato riservato, solitario, e viveva in “lockdown” già prima del Covid. Pur uscendo poco, ogni tanto incontra vecchi amici, che come lui vivono di ricordi: «Ce la contiamo sulla decadenza della musica. Ormai viene usato il computer, tutto è uguale, ci sono sistemi che non sono più umani. Mi domando dove godano. Per fortuna ho una collezione di tanti dischi di belle musiche del passato. Andrei addirittura di 78 giri, anche se sono scomodi; ho la mia collezione, la tengo cara. Mi hanno detto che i vinili vengono comperati da collezionisti che non li tolgono nemmeno dalla busta di cellophane».

Non suona più neanche in quella manciata di concerti rinviati per la pandemia, che tiene più che altro per onorare i biglietti già pagati. Sul pianoforte ci si siede e basta. Per la maggior parte del tempo lo cede a uno dei suoi grandi orchestrali e lui si limita cantare, in piedi, con una voce che ha sempre più difficoltà a uscire fuori. Ma chi va a un suo concerto lo sa già dall’inizio. «Ci sono serate pagate ed esaurite, speriamo di poterle fare. C’è l’incombere del futuro che non si conosce – insiste - e non c’è nessuna arma per leggerlo. Da un lato sono catastrofista, dall’altro speranzoso: in bilico tra speranza e delusione». Caro Paolo, sai farci venire i brividi anche solo leggendo un’intervista. Tanti auguri anche da parte nostra.


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