Economia Aeroporti

Ita Airways vuole i soldi per riportare gli aerei a Comiso

La compagnia di “bandiera” pretende gli stessi incentivi dati alle low cost per tornare a operare

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 Comiso - Si annuncia una battaglia legale tra Ita Airways e alcuni aeroporti italiani, tra cui il “Pio La Torre” di Comiso, sul tema degli incentivi alle low cost: con un documento di quattro pagine inviato il 5 luglio, la compagnia subentrata ad Alitalia dà tempo 30 giorni a quattro società di gestione di 6 scali per farsi consegnare «tutti i documenti ed atti, anche presupposti e conseguenti, riguardanti la conclusione di contratti, accordi commerciali, convenzioni, attualmente vigenti o cessati a partire dal 1° gennaio 2020, di incentivazione allo sviluppo del traffico o comunque relativi all’erogazione di servizi aeroportuali e/o di qualsiasi altro tipo a favore e da parte di altre compagnie quali, a titolo esemplificativo, contratti di sublocazione immobiliare, contratti per l’acquisto di spazi pubblicitari, contratti di comunicazione, contratti di servizi di assistenza a terra (handling), contratti di promozione turistica, pubblicitari o di marketing». Nient'altro? 

Tra i destinatari dello pseudo "avviso di garanzia" la Sac, operativa a Comiso e Catania, e sempre in Sicilia la Gesap, che si occupa di Palermo. Mancano un paio di settimane alla scadenza dell'ultimatum, rimasto ad oggi lettera morta, e non è chiaro con quale diritto e a quale titolo si permetta tali richieste un'azienda foraggiata coi soldi pubblici, nata per essere rivenduta e responsabile di aver fatto saltare la continuità territoriale dello scalo ibleo, appiedando letteralmente da un giorno all'altro decine di migliaia di passeggeri, e che ora ambisce a volersi sostituire alla magistratura. È vero che tra il 2015 e il 2019 gli aeroporti a concessione pubblicai hanno dato alle compagnie aeree almeno 1,2 miliardi di euro di incentivi, arrivando a pagare il vettore anche 26 euro a passeggero, ma questa si chiama libera concorrenza in libero mercato.

L'obiettivo di Ita, in realtà, non è scovare un reato che non esiste ma, più banalmente, avere una scusa per poter giustificare la sua assenza e la sua latitanza da alcuni aeroporti italiani o farsi pagare (da noi) per tornare a decollarvi. Con il Covid, nel 2020, questo giro d'affari è sceso a poco più di 100 milioni di euro a livello nazionale; per poi risalire l’anno scorso, con la prima estate quasi normale, superando i 500 milioni. Queste politiche di “supporto” (sotto forma di sconti, incentivi, co-marketing) si basano sul presupposto che più compagnie volano in un aeroporto più persone arrivano a spendere il loro denaro nel territorio. La direttiva europea del 2009 dà espressamente il via libera a questo pacchetto «per avviare nuove rotte in modo da promuovere, tra l’altro, lo sviluppo delle regioni svantaggiate e ultra-periferiche». Quello che manca, in effetti, è la trasparenza invocata dalla Commissione Ue, visto che gli accordi sono blindati.

«Non voglio favoritismi, ma regole uguali per tutti – ha detto il presidente esecutivo di Ita, Alfredo Altavilla -, se ci sono amministrazioni locali o aeroporti che vogliono dare incentivi li diano a tutti, anche a noi. Non trovo ammissibile la disparità di trattamento. L’Italia è il Paese europeo dove la quota di mercato delle low cost è più alta perché i contribuenti italiani, gli aeroporti italiani. hanno continuato a finanziare l’invasione delle low cost» sostiene. Contribuenti italiani finanziatori delle low cost? Che faccia tosta: ma se Ita esiste esclusivamente grazie a loro, ai soldi nostri, essendo di proprietà del Ministero delle finanze! «È arrivato il momento di aprire i libri – insiste Altavilla  - e vedere quali sono effettivamente i numeri, poi non tocca a noi decidere in che modo intervenire ma alla politica". Che, per il momento, ha tutt'altro per la testa. Insomma, Ita vuole la botte piena e la moglie ubriaca: accedere alle agevolazioni di chi fa traffico negli scali che lei ha abbandonato, continuando a mantenere però tariffe non da low cost. 


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