Scicli - L’ultima volta che ho visto nevicare a Scicli ero appena un bambino.
Una sera di tuoni e pioggia, di vento che ululava forte nella via.
Eravamo sotto Natale.
Mia madre quella notte non mi raccontò come usava una fiaba ma accese il forno che presidiava la stanza più grande della casa e v’introdusse coperte e lenzuola al posto di forme di pane lisce e lievitate.
Eravamo poveri ma quanta gente era più povera di noi senza un forno e un vero tetto, con una grotta appena per ripararsi e un focolare (a tannùra) situato fuori, all’addiaccio, per cucinare!
Aspettando che la biancheria si riscaldasse ben bene, mia madre tirò le braci, riempì con esse dei secchielli d’alluminio. Li avrebbe sospesi dentro un’anima di fasce di legno intrecciate e ricurve ad igloo (a munachedda) da porre dentro le lenzuola, dopo aver rifatto i letti, perchè queste non perdessero il loro calore.
Io mi coricai e subito capii da un improvviso silenzio che qualcosa di strano stesse per accadere.
La mattina dopo, lei mi vestì in fretta, mi sprofondò la testa dentro un enorme copricapo di lana.
-Andiamo a vedere la neve. - Mi disse, allegra.
La guardai con la curiosità dei bimbi e la sua mano m’invitò con uno strattone a seguirla.
Arrivammo in una Piazza Italia tutta bianca con tanti ragazzini che giocavano a tirarsi delle palle di neve.
- Ti piace? - Mi chiese. -Gioca anche tu a fare delle palle di neve e a lanciarle.-
Io provai, ma quella sostanza era molto fredda e non mi piacque quel gioco.
-Andiamo via -le dissi- voglio tornare a casa.-
Intanto riprese a nevicare e ci riparammo dentro la Chiesa Madre.
Più tardi rincasammo.
La strada del ritorno era stretta e tortuosa, fiancheggiava il vecchio lavatoio, vuoto come non lo avevo visto mai.
-Sai, non nevica sempre qui, - mi raccontava lei, mentre camminavamo- chissà, quando rivedrai di nuovo la neve...-
Io dimenticai quelle parole.
A Scicli, in effetti, ho visto, dopo quella volta, solo qualche spruzzata di nevischio o forti grandinate i cui chicchi rimanevano a lungo sodi ai margini delle strade o dei vicoli, raggrumati sopra le tegole dei vecchi palazzi annerite dal fumo della Storia.
Stanotte, improvvisamente, la nevicata mi ricordò un passato che pensavo rimosso.
Il volto della madre s’identificava per magia con l’altro di una città che come lei non esiste più.
Chissà - mi chiesi- se ancora un torrente impetuoso scorre sotto la colata di cemento armato che seppellì l’antico lavatoio dando vita al nuovo Largo Gramsci?
Provai ad immaginare i canti, le grida e i mottetti delle donne che andavano a lavare, poveri fantasmi di un’epoca della quale non è rimasto nulla neanche la pietà di un ritratto.
Andai alla finestra e vidi il Duomo imbiancato che era sempre là ben saldo sulla sua balza, ieratico nonostante il tempo e la Storia, affacciato sul purgatorio deserto di Chiafura.
Mi guardai, allora, allo specchio e mi accorsi che i capelli erano bianchi, tanto bianchi e non per una palla di neve lanciatami dentro un gioco di ragazzi.
“L’ultima nevicata.” -Mormorai, pensando alle parole di mia madre. “Non nevica spesso a Scicli.”
di Un Uomo Libero.
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