Madrid - L’amicizia di un’intelligente e simpatica signora di Pitigliano, moglie di un carissimo amico, mi ha permesso di visitare questa incantevole cittadina della Maremma toscana ricca di storia e di splendidi monumenti.
Pitigliano per me ha avuto, da allora, il volto e l’affabilità di questa donna e di tutta la sua famiglia.
Rovistando fra le carte del “Fondo antico” dell’Archivio Generale di Simancas (Spagna) non potevano sfuggirmi, dunque, dei documenti che riguardassero questa città della provincia di Grosseto.
Diedi, infatti, ad essi un’occhiata veloce, non ritenendoli importanti, ma li richiesi, riservando a momenti più tranquilli la loro trascrizione e contestualizzazione.
Dovetti però ricredermi e io che pensavo che fossero solo delle povere cronache!
Solo oggi comunque intuisco tutto il valore della mia scoperta.
I documenti in questione sono, in effetti, il frutto di una corrispondenza privata tra Cosimo I De’ Medici (1519 – 1574) e il Viceré di Sicilia Don Juan de la Cerda, persona molto vicina non solo politicamente al re di Spagna Filippo II.
Cosimo I de’ Medici fu una figura a dir poco machiavellica, molto contraddittoria. Una figura di “principe” italiano in riga con altre abbastanza celebri del suo tempo.
Non sto qui a fare, ad ogni modo, la storia della sua vita. Non sarebbe, questa, la sede idonea né io la persona più adatta.
Mi limiterò, invece, a contestualizzare i documenti da me scoperti.
La corrispondenza, infatti, ha come oggetto centrale una lettera nella quale Cosimo informa Juan de la Cerda, Viceré di Sicilia, sui fatti di Pitigliano. Prima che il Viceré li sapesse da altri, così precisa astutamente il duca di Toscana.
In breve l’accaduto.
I senesi, istigati e appoggiati dai francesi, nel 1554 si ribellarono alle forze dell’imperatore Carlo V.
Cosimo li combatté e li vinse a Marciano nel nome dell’Imperatore. Siena stessa sarà cinta d’assedio e, stremata, si arrenderà a Cosimo l’anno successivo.
Sull’onda di questa vittoria i pitiglianesi, istigati da Cosimo contro il loro conte Giovan Francesco Orsini, capeggiati dallo stesso figlio del conte, Nicola, si ribellarono e proclamarono loro capo proprio Nicola.
Il conte Giovan Francesco fu costretto all’esilio ma il figlio, conquistato il potere, incappò nelle censure del Sant’Uffizio per la sua vita dissoluta e per delazioni varie.
Liberatosi dalle catene dell’Inquisizione, Nicola ritorna a Pitigliano e mette in atto veri e propri piani di vendetta, mentre Cosimo adotta dapprima un atteggiamento molto ambiguo e cauto nei suoi confronti fino a sconfessarlo, poi, pubblicamente.
Il popolo di Pitigliano nuovamente manovrato da emissari di Cosimo si ribella al Conte Nicola e lo scaccia, questa volta con l’aperta complicità di Cosimo che tenterà in un primo momento di insediare nuovamente il vecchio Giovan Francesco Orsini.
Una delle figure più bieche, protagoniste non solo di queste vicende ma anche di tutta la politica militare del duca di Toscana di cui diventerà poi il vero braccio destro, è Chiappino Vitellio, proprio l’uomo che il duca spedirà a Pitigliano per tenere buoni gli insorti e rendere possibile il suo piano ambizioso.
Purtroppo Cosimo, degno figlio del padre Giovanni dalle Bande Nere, non era visto di buon occhio dagli Stati europei.
Questa è la vera ragione che spiega le cautele dell’uomo nelle sue strategie politico militari.
La partecipazione alla lega santa per fermare il pericolo turco (vittoria di Lepanto) gli valse, comunque, il titolo di Granduca di Toscana, coniato per lui da Sisto V, in dispregio delle antiche e riluttanti monarchie europee.
Consolidata la sua posizione in un’Europa molto frantumata e ribelle, Cosimo finalmente potette guardare al futuro senza alcun timore o pensiero.
Il duca di Toscana, a sostegno delle sue ragioni, amava intrattenere con i grandi suoi contemporanei delle fitte corrispondenze nelle quali spiegava, magari a modo suo come fa nelle lettere al Viceré siciliano, i motivi del suo agire.
Dimenticava, però, l’antico adagio latino secondo il quale “excusatio non petita, accusatio manifesta”.
La Storia come sempre non fa sconti e men che meno a chi ha voluto manipolarla o gestirla.
La lettera al Viceré (Doc. n.2), nella quale Cosimo ancora non è stato insignito del titolo di Granduca di Toscana, è stata scritta da Pisa il 16 gennaio del 1562. A essa Cosimo allega, a giustifica del suo operato, la lettera (Doc. n.1), ricevuta dal suo castellano di Sovana l’11 gennaio 1562. Sempre da Pisa, il 10 febbraio 1562, il duca di Toscana informa il Viceré siciliano degli ultimi eventi (doc. n.3) che vedono coinvolto in prima persona il vecchio conte Orsini.
Un sofisticato tentativo di restaurazione, quest’ultimo episodio, apparentemente credibile, ebbe, invece, solo lo scopo di prendere tempo e fu escogitato da Cosimo per dare di lui un’immagine liberale e magnanima alle Monarchie europee che ad arte informava.
Il Viceré siciliano, uomo molto avvezzo alle beghe del potere, rispose, in verità, con poche righe, forse intuendo dalla scrittura del duca il vero affanno segreto che la motivava.
Queste lettere, come le moltissime altre dello stesso tenore custodite negli archivi fiorentini, ci permettono tuttavia di capire meglio una personalità complicata e complessa quale fu quella di Cosimo I, personalità che si allunga come ombra funesta sulla vita e l’operato di un uomo che diede a Firenze forse uno dei periodi più splendidi della sua storia.
Riporto la trascrizione dei documenti.
AGS, EST, Leg. 1127 n.002
Doc. n.1
Copia di lettera del Capitano Inglesio Calefati a S. Ecc. data dalla fortalezza di Sovana il di Xj di Gennaio 1562
Son venuti oggi di nuovo a trovarmi li tre di Pitigliano che per altra mia l’ho scrito con ferma resolutione di rebellarsi a ogni modo, non m’è stato possibile di poterli disuadere, o che almeno aspetaseno ch’io havessi risposta dall’Ecc.za V. et con tutti li protesti ch’io ho fatti loro m’hanno replicato di essere risoluti in tutti modi prima che spettare di essere appiccati come dicono che riuscirebbe loro, et che io mi truovo per non sapere la mente dell’Eccª. V. in grandissimo laberintho e sto pregando Iddio che mi inspiri a far cosa che non dispiaccia all’Eccª. V.
--
Copia de la letra del Capitan inglesco al Duque de Florencia
----------------------------------------------------------------------
Doc. n. 2
+
Ill.mo et Ecc.mo Sig.re
E mi parrebbe mancare al debito della amicitia, et affettione ch’io porto a V. Eccª. Se non le facessi parte d’ogni mio successo sapra ella adunque, che i pitiglianesi stracchi finalmente dalle opprressioni, angherie, et storsioni del conte Nicola, così nell’honore delle donne loro, come nelle faculta, et persone Loro proprie, et risolverono di volersi liberare dal giogo di quella dura servitù, et cosi due giorni innanti andorono a trovare il mio castellano, di Sovana et comunicandogli il tutto lo pregorno a prestargli l’agiuto suo, dicendo non voler altro padrone, ne haver altro desiderio che di venire sotto la mia obedientia, et protettione; Egli se bene gli ributtò non sapendo la mia intentione me ne scrisse però, et io gli risposi che li essortassi a desistere da questa loro deliberatione, et a tollerare patientemente. Ma mentre la lettera mia era in camino, essi tornati da Lui gli fecero la medesima instantia, et sendo dissuasi, ò almeno preghati che aspettassero la mia risposta, replicorno non poter indugiare piu per tema di non essere scoperti, et appiccati, ma che senza dilatione erono per mettere à effetto questa loro deliberatione, si come potra V. Eccª. Cognoscere dalla copia dalla lettera inclusa d’esso castellano, la onde partitisi, essequirono questo loro intento, col farsi padroni della terra et della fortalezza senza alcuno contrasto, trovandosi il conte a Sorano, et adunato il consiglio publico mandarono a chiamare detto castellano per metterlo in possesso a nome mio. Egli se bene sospeso per non havere commessione alcuna di me, vi si condussi però solo con quattro compagni. Nel medesimo instante mi spedirno tre loro homini principali con amplissima faculta, da quali hò acettata io la loro spontanea deditione, si per le pretensioni che lo stato mio di Siena vi ha sopra, si per la salvezza di quel popolo, et anco perche essendo il luogho importante, et forte, come è suli miei confini non havesse a ocuparlo altra persona, acienandomi questi huomini, che per la disperatione et per il tedio della corrottissima vita del Conte, non vogliono piu tornare sotto di lui, ma si butterano dove potrano, quando io non li acetti.
Ho mandato non di meno a chiamare il Conte Giovan Francesco suo padre spogliato gia da lui di quello stato, et tenuto esule gia tanti anni, in tanta calamità, et miseria per veder di rimeterlo a godere le sue sostantie per la compasione tengo di lui, come mi pare sia il debito di principe cristiano et inviato il sig. Chiapino a quella volta perche tenga quiete le cose, et obvij, et obvij a disordini che potesino nascere, con comissione che faccia intendere al Conte Nicola che per la banda mia non si alterara niente dello stato presente quando egli ancora si stia quieto. Ho voluto che la Eccª. V. intenda da me questo successo, a fin che se le fusse scritto altra cosa ella sappia la mera verità, et con offerirmele pregho Dio Nostro Signore.
Di Pisa li xvj di Gennaro 1562
Copia de carta que scrive el Duque de Florencia, a los xvj de Enero 1562 al Visorrey de Sicilia
----------------------------------------------------------------------
Doc. n. 3
Ill.mo et Ecc.mo Sig.re
Con altra mia diedi conto a V. Ecc.ª del successo de Pitigliano nel quale si come io non ho havuto altra mira che alla sicurta mia, a fin che altri non si facessi padrone di quel luogo su le mie frontere di molta importanza, mi parse anco di non denegare a quei populi il mio patrocinio et perché cio si conoscessi chiaramente da ciascuno mandai, a chiamare come le dissi il Conte Gian Francesco vecchio il quale venuto ho operatto di sorte si ben con molta fatica che quelli huomini si sono resoluti a riçeverlo et perche egli s’è trovato exhausto di danari et di ogni bene m’ha pregato ch’io voglia ritenere la guardia di quella fortezza il ch’ho fatto volentieri havendo risguardo alla quiete publica et anco a la conservatione di quei populi, che non l’hanno voluto ricevere altrimente per molto ch’io me ne sia affaticato/
M’è parso significarlo a V. Ecc.ª sapendo ne sentira quel piaçere che è solita d’ogni mio progresso et non raccomandandomi nella sua buona gratia, pregarle ogni felicita et contento/
Da Pisa li x di febraro M.D.L.X.IJ
+
Copia de carta del Duque de Florencia al Visorrey de Sicilia de X de Hebrero 1562
----------------------------------------------------------------------
Doc. n.4
+
Ill.mo y Ex.mo Señor
Recibi de V. Excª. Con la relaçion de lo succedido en Pitillano y copia de letra del capitan inglesco Calefati con lo qual quedo informado cumplidamente dello, y por las causas que le han movido a visarme beso a V. Exc.ª. las manos certificandole no esta engañado en tenerme por amigo y servidor cuya Ill.ma y Exc.ma persona Nuestro Señor guarde y prospere.
De Palermo a xviij de Hebrero 1562
A Servicio de V. Exc.ª
Don Juan de la Cerda
18 de Febrero 1562
Copia de carta del visorrey de Sicilia al Duque de Florençia
CREDITI
AGS – Archivio Generale di Simancas
Enciclopedia Italiana (1935) di Attilio Mori – Odoardo Hillyer Giglioli
El perfil de Geni de Giovan Francesco Orsini, VIII conte di Pitigliano
Articolo di Barbara Furlotti in Bolletino d’arte Beni Cuturali/ Barbara Furlotti: Giovan Francesco Orsini, un nome per il “Ritratto di gentiluomo” della Pinacoteca del Castello Sforzesco di Milano (estratto dal fascic. 5)
© Tutti i diritti riservati all’Autore