Lucca - «Sembra una leggenda antica, un contrappasso: per tutti noi in famiglia era immortale, ma appena ho svelato per intero il suo talento lei ha deciso di lasciare la vita». Sabina Ambrogi, giornalista, è sconvolta, parla con voce rotta dalla commozione, dal pianto. Domenica aveva trascorso una giornata tra le più belle della sua vita, inaugurando, al palazzo delle Esposizioni di Lucca, una mostra di pittura con i quadri della madre, Anna Maria Fabriani, 100 anni compiuti lo scorso 28 giugno. Cerimonia sobria ma elegantissima, con Anna Maria sulla sedia a rotelle, una sciarpa di seta sul collo, il sindaco Mario Pardini che l'ha presentato dopo aver saputo di questa storia «per caso», che la guardava sorridente, ringraziandola per essere lì, nella sala convegni. Giovedì sera l’anziana pittrice — romana, insegnante d’arte nelle scuole medie delle borgate — se ne è andata. Un addio alla vita accanto a Sabina e all’altra figlia Cecilia, veterinaria. Ma in questa morte non può non colpire il fatto che, dice proprio Sabina, «è una metafora dell’arte: quando si svela, a patto che sia autentica, il passato muore, per restare per sempre». Quella di Anna Maria è una lieve storia di una «pittrice nascosta».
È proprio lei a raccontarlo in prima persona nel catalogo della mostra, che ha questo titolo. Prima di sposarsi con Silvano, scrittore, sceneggiatore, intellettuale di sinistra era stata allieva di Carlo Socrate, uno degli esponenti di spicco della Scuola romana. «Mio marito... non mi ha certo impedito... — sembra di sentirle, queste parole esili — ma se io mi fossi messa a dipingere come lui scriveva, tutto il giorno chiuso nello studio, la famiglia sarebbe esplosa in una settimana». Cosicché riprende pennelli e tavolozza solo alla morte del compagno, nel 1997. E riprende tra le mani, ma stavolta concludendolo, un vecchio quadro, bellissimo e lasciato a metà, dedicato al marito, ritratto mentre lui legge un libro, sereno e pensieroso. Il seguito sono altre 90 opere circa, nature morte, paesaggi, volti e scenari che ricordano certe malinconiche solitudini di Hopper. Tutta roba mai catalogata, regalata ad amici, parenti, vicini di casa, passanti, sconosciuti, ex studenti. Semmai un paio di stelle polari: «La pittura per me coincide con la vita». E quella visione del mondo dove al primo posto c’erano l’arte e il sapere, che «forse per noi, scampati alla guerra, era il modo di non rivedere più quello che avevamo vissuto».
Poi l’insegnamento in periferia, ed è difficile non scorgere echi pasoliniani nella sua capacità di scoprire «veri talenti che nascevano in ambienti dove non si era mai visto un libro» e l’impegno a convincerli «a non disperdere le loro doti nel nulla». Quello della «pittrice nascosta» è un mondo che scorre accanto al cinema. «Con mio fratello vedevamo lo stesso film un sacco di volte», «Gina Lollobrigida veniva da noi, all’Accademia», dove Anna Maria si era pagata gli studi. E poi: «Marcello Mastroianni, amico di famiglia, era uno del quartiere». Ancora: Roberto Benigni, che inizia la carriera con i «Burosauri», testo satirico scritto dal marito Silvano.