Piazza Armerina - La recente pubblicazione delle motivazioni della sentenza che ha condannato don Giuseppe Rugolo a 4 anni e mezzo per abusi sessuali su minore sta creando una spaccatura anche all’interno della stessa Chiesa. I giudici del Tribunale di Enna hanno ribadito nelle oltre duecento pagine del dispositivo che sarebbero evidenti le omissioni della Diocesi che, nella persona del Vescovo Rosario Gisana, avrebbe facilitato l’attività predatoria di un prelato già oggetto di segnalazione. Il vescovo della Diocesi di Piazza Armerina però, in una lunga intervista su La Stampa, all’indomani del deposito delle motivazioni della sentenza, lancia una nuova linea di difesa affermando che «i fatti che hanno riguardato i rapporti tra A. M. (il giovane archeologo ennese che, con la sua denuncia, ha innescato il processo) e Giuseppe Rugolo si sono verificati prima del mio insediamento come vescovo».
Gisana chiama in causa il suo predecessore, Monsignor Michele Pennisi, che da ultimo, prima di andare in pensione, è stato alla guida della Diocesi di Monreale, ma fino al 2013 è stato a Piazza Armerina. Una affermazione che ha stupito Pennisi che rimanda le accuse al mittente: «Se durante il mio vescovato alla Diocesi di Piazza Armerina – dice – fossi venuto a conoscenza di questi fatti che, preciso, per me costituiscono reato, non avrei esitato a prendere provvedimenti». Pennisi rilancia, proprio riferendosi al caso Rugolo: «Io non ho mai ricevuto alcuna segnalazione in merito a Rugolo – ribadisce l’ex vescovo di Piazza Armerina – Perché quando sono stato informato, come in un caso di Gela, ho preso immediatamente seri provvedimenti». La sentenza Rugolo insomma, oltre a creare polemiche nella comunità diocesana, adesso innesca anche un botta e risposta tra due alti prelati con uno scaricabarile sulle responsabilità di un silenzio pesantissimo su una grave vicenda di abusi, di cui i fedeli, che ad oggi non conoscono una reale posizione della Diocesi sui fatti, non sentivano sicuramente il bisogno.
Nella sentenza il giudizio sul Vescovo Gisana
La Curia, nella persona del vescovo (Rosario Gisana, ndr), ometteva con ogni evidenza qualsivoglia, seria iniziativa a tutela dei minori della sua comunità e dei loro genitori nonostante la titolarità di puntuali poteri/doveri conferiti nell'ambito della rivestita funzione di tutela dei fedeli, facilitando l'attività predatoria di un prelato già oggetto di segnalazione»: è ciò che si legge nelle motivazioni della sentenza di primo grado che ha disposto, lo scorso 5 marzo, la condanna a 4 anni e 6 mesi per il sacerdote Giuseppe Rugolo.
La diocesi di Piazza Armerina è stata riconosciuta come responsabile civile dai giudici e per questo motivo dovrà rispondere in solido con il sacerdote del risarcimento delle parti civili. Del resto monsignor Gisana, intercettato, ammetteva di aver «insabbiato» la vicenda.
«La condotta coscientemente colposa da parte del vescovo Rosario Gisana - si legge ancora nelle motivazioni - rende legittima la condanna al risarcimento del danno della Curia nella sua qualità di responsabile civile per i pregiudizi cagionati da padre Rugolo». I giudici sottolineano anche che il vescovo aveva «evidentemente autorizzato padre Rugolo come figura di riferimento dell'associazione 360 da lui fondata a operare all'interno della chiesa madre, consentendogli in tal modo con la piena compiacenza della diocesi di creare occasioni di incontro e frequentazioni con i giovani adolescenti».