Cultura Avola

Avola, la città esagono si interroga sul proprio passato

Monumento e documento, spiega Vanessa Leonardi nella prefazione alla serata, diventano l’uno conseguenza dell’altro



Avola -  Quante città al mondo possono dire di conoscere il giorno, il mese, l’anno, della loro fondazione?
Vero, il 21 aprile si celebra il Natale di Roma, ma è una data inventata quella del 753 avanti Cristo.
Non così per Avola, comunità che si interroga sul proprio passato lungo un lavoro di ricerca che si inanella senza mai finire. 

Avola ha celebrato la propria rifondazione il 6 aprile scorso al Teatro Garibaldi, ricordando due date: il disegno della città esagonale del 16 marzo del 1693, e la posa della prima pietra della Chiesa Madre e della Sepoltura Comune il 6 aprile 1693.

Alla presenza del sindaco Rossana Cannata, la storica dell’arte Francesca Gringeri Pantano, con la collaborazione e il contributo dell’archivista Vanessa Leonardi, ha ripercorso 331 anni di storia. È stata presentata la nuova riproduzione della pianta esagonale con i dati storici della città ed è stata svelata al termine della presentazione la nuova targa in Piazza Umberto I che reca anche il primo nome di Area Principalis, già Piazza Maggiore.

Monumento e documento, spiega Vanessa Leonardi nella prefazione alla serata, diventano l’uno conseguenza dell’altro. Così il 27 luglio scorso in piazza Umberto I era stata collocato il monumento-gigantografia della pianta esagonale della città, ovvero la resa materica di un documento che fu l’atto fondante della Nuova Avola dopo il terremoto distruttivo e annientante dell’11 gennaio 1693.

E la ricerca del documento fondativo della città assorbe dal 1970 l’attività della storica Francesca Gringeri Pantano, avolese d’adozione, autrice nel 1996, dell’opera “La città esagonale Avola: l'antico sito, lo spazio urbano ricostruito”, libro edito da Sellerio.

Una comunità in risalita, quella avolese del tempo, capace di scrollarsi di dosso i lutti del terremoto dando vita alla vicenda ricostruttiva del Val di Noto: il 16 marzo 1693, due mesi dopo il sisma, viene aperto il cantiere della ricostruzione della città e il 6 aprile successivo viene posta la prima pietra della chiesa Madre, all’angolo della piazza Maggiore, nell’Area Principalis.

Sono passati 331 anni.

“Chissà cosa farebbe ogni città per sapere il giorno, il mese e l’anno della propria nascita” chiosa Francesca Gringeri Pantano iniziando la sua appassionata narrazione della progettazione, in pochissimo tempo, da parte degli avolesi del tempo, di un Piano Urbano straordinario.

Ma cosa accadde in quei giorni?

L’antica Avola sorgeva in due siti, spiega la professoressa Gringeri Pantano. Quello che lo storico Francesco Di Maria chiama il monte Aquilone e quello in cui oggi sorge una villa, dove insisteva un castello sin dal 1272, probabilmente fatto costruire da Federico II di Svevia, che aveva fortificato l’area con i Castelli Maniace di Siracusa e Augusta.

Sotto Carlo d’Angiò il castello di Avola, con intorno tre torrioni, era stato munito di attrezzature militari, e attorno ad esso si sviluppava l’abitato.

L’unico disegno a noi pervenuto dell’antica città è del 1696-7, è custodito all’Archivio di Stato di Napoli e mostra una cinta di mura con un abitato e in fondo il castello 

Perché tanta difficoltà a ricostruire la storia di Avola?

Perché i documenti sulla storia di Avola sono lontani, a Napoli.

È vero che di Avola scrivono il Di Maria e Gaetano Gubernale, che all’archivio di Stato di Siracusa vi è il notarile e che in Chiesa Madre vi sono gli atti di nascita, di matrimonio e di morte, ma il novanta per cento dei documenti di interesse si trova all’Archivio di Stato di Napoli perché la famiglia che possedeva la città dal 1361 e fino all’Unità d’Italia sono gli Aragona, e poi gli Aragona Tagliavia per matrimonio e poi dal 1600 i Pignatelli Aragona Cortese.

Accadde che una famiglia abbia posseduto un bene feudale per quasi cinque secoli: c’era quindi un amministratore, un governatore dei beni, che custodiva i documenti e gli atti nell’archivio madre di Palermo, nella casa dei Pignatelli Aragona Cortes.

Famiglia ricca e importante, se solo si pensa che possedeva nove città, fra cui Gela, Casteltermini, Castelvetrano, Menfi e i feudi del Belice, oltre ad altri beni a Madrid, in Calabria, a Napoli, e persino in Messico. Una baronessa di Avola poi marchese sposò il pronipote di quel Ferdinando Cortes che aveva conquistato il Messico.

Al momento del terremoto i marchesi di Avola sono Giovanna e Nicolò Pignatelli Aragona Cortes: lui era già Duca di Monteleone in Calabria, lo zio era Papa Innocenzo XII e il fratello era arcivescovo di Taranto e futuro Cardinale di Napoli. Ciò vuol dire che Avola era posseduta da persone di grande valore militare, che trascorrevano la loro vita a Palermo, Madrid, Napoli…

Bene, l’archivio palermitano sul finire dell’Ottocento viene trasferito a Napoli e negli anni Cinquanta del Novecento l’ultimo erede diretto della famiglia dona al Ministero della Pubblica Istruzione l’archivio che viene ceduto all’Archivio di Stato di Napoli. Questa mole di documenti è diventata fruibile solo dagli anni Sessanta, ecco il motivo per cui per tanto tempo sono mancati gli studi su Avola.

 

Ma partiamo dal terremoto dell’11 gennaio 1693. La città fu distrutta dal terremoto e unanime fu la decisione dei giurati, del sindaco, del marchese che viveva a Madrid di traslare la città in un sito a valle.

In contrada Castello non rimase pietra su pietra. Ma perché la città antica non è visibile? Per la semplice ragione che chi ricostruiva a valle la propria casa saccheggiava l’antica città distrutta, al punto che davanti a quei ruderi Jean Houel nel 1777 racconta di vivere una pena incredibile per quelle sacre pietre.

Ma vi fu un secondo terremoto che distrusse l’antica Avola. All’inizio dell’Ottocento il suolo attivo fu diviso in lotti e concesso in enfiteusi. Gli enfiteuti spietrarono i terreni, costruendo peraltro i muretti a secco, e questo cancellò la memoria dell’antico sito urbanistico che ospitava seimila anime, 22 chiese…

Lungo le strade si incontravano grotte con architrave e volta che nei “riveli” di Palermo vengono chiamate “rutti fatte a casa”, grotte fatte a casa, che oggi purtroppo stanno per crollare…

La città del resto possedeva un tessuto architettonico importante, come dimostrano gli scavi fatti negli anni Settanta del Novecento dall’avvocato Spartaco d’Agata e Maiolino, che portarono alla luce alcuni reperti fra cui una lunetta della prima metà 400 e un rosone. La lunetta apparteneva evidentemente a una chiesa gotico catalana che risaliva al periodo in cui Avola era ancora una baronia e barone era Pietro d’Aragona (il marchesato arriverà nel 1530).

Pietro proveniva da Barcellona, dove si trova la cappella di San Giorgio del palazzo della Generalidad di Catalogna, dove troviamo il medesimo decoro gotico fiorito.

E sarà Pietro a portare nel 400 la coltivazione della canna da zucchero che renderà economicamente forte la città e sarà abbandonata solo a inizio Ottocento.

Nasce così il trappeto di Cannamela dove i sopravvissuti al terremoto si rifugiarono, costruendo le case pagliaio e dove c’era la possibilità di cibarsi masticando le canne e traendone alimento.

I ruderi di quel sito, con la mola del trappeto, sorgono oggi accanto all’acquedotto, nella zona degli Archi, in contrada Trappeto appunto.

Ma la vera domanda era: dove ricostruire la città?
La notizia del terremoto in Val di Noto era volata in Spagna, il Marchese in quel momento non era legalmente riconosciuto nel ruolo, e toccava agli amministratori di Palermo la scelta sul dove rifondare Avola.

Chiaramente in pianura, dove non c’erano rischi di crolli dovuti a presumibili nuove scosse sismiche, e non troppo vicino al mare e alle temibili incursioni corsare che da esso provenivano.

A Palermo c’era il fratello del marchese di Avola, di Nicolò Pignatelli, Francesco Pignatelli, l’arcivescovo di Taranto, poi cardinale di Napoli, uomo raffinatissimo. È lui che chiama l’architetto-ingegnere Angelo Italia, arriva ad Avola e decide di avvicinare la città al mare, trasferendola in pianura.

 

La professoressa Gringeri Pantano intuisce che a Palermo doveva esistere il documento con cui si decide di rifondare Avola, e che tale atto doveva essere custodito in uno dei 74 studi notarili del tempo e rogato nei tre mesi che trascorrevano da gennaio a marzo del 1693.

“Trovai il documento al 45esimo notaio, dopo due anni di lavoro”, dice sorridendo la professoressa Francesca, e il teatro di Avola le tributa un applauso liberatorio di gioia.

Cosa dice il documento? L’amministratore aveva ricevuto dal marchese l’ordine di inviare l’architetto ad Avola con 400 onze per dare inizio alla fabbrica della città.

Angelo Italia arriva con una feluca, una barca a vela, sbarca ad Ognina il 13 marzo 1693. Tre giorni dopo, il 16 marzo Angelo Italia disegna la città e sceglie il feudo Mutubè in pianura vicino alla costa, ma non accanto al mare, troppo esposto alle incursioni dei corsari, e pone il sito della città al centro della strada che da Siracusa portava al contado di Modica. “La strada era quello che noi oggi chiamiamo corso Vittorio Emanuele”, spiega Gringeri Pantano.

Italia aveva 65 anni e dei problemi di salute: per lui viene costruita “una seggia”, una sedia per consentirgli di spostarsi in maniera agevole.

Dal 16 al 21 marzo l’esagono è compiuto, Italia lo sceglie perché simbolo di perfezione, al centro però dell’esagono sceglie un’altra forma, il quadrato, perché gli spazi devono essere vivibili, identificabili. Italia si era ispirato in tal senso a un Trattato del Cinquecento del Catanio oltre alle sue reminiscenze vitruviane. Il 21 marzo 1693 Italia ha assettato la città, mentre il marchese divideva i lotti gratis “secondo il valore delle persone” nel feudo Mutubè.

Angelo Italia diventa famoso e richiestissimo, viene chiamato a Lentini e Noto non senza aver prima indicato dove costruire la chiesa Madre di Avola.

È il 6 aprile 1693 quando viene posta la prima pietra della chiesa Madre e nel sottosuolo il primo cimitero della città.

“Oggi è il 6 aprile e ricordiamo questa data” dice Gringeri Pantano.

E tuttavia, il disegno originale di Italia non ci è pervenuto; oggi abbiamo la pianta del 1757 in un libro di Vito Maria Amico, abate dei Benedettini di Catania, il “Lexicon topographicum siculum”, e qui c’è la pianta di Avola, con la dicitura “Abola, Sicilia oppidum, post 1693”; la pianta porta il nome del frate don Giuseppe Guttadauro.

Chi è? Un cavaliere gerosolimitano che a proprie spese ha fatto realizzare la pianta.

A Malta Gringeri Pantano trova Giuseppe Guttadauro, che riceve l’ordine di cavaliere di Malta all’età di appena due anni. Il padre Saverio aveva acquistato per il proprio bambino Joseph il titolo di Cavaliere di Malta per dare luce alla sua famiglia e produce la mappa della città per aiutare l’abate Vito Maria Amico. Chi disegnò la pianta?

Lo stesso autore che aveva disegnato Siracusa, stesso stile, stesso tratto.

“Cesare conte di Gaetani principe di Cassero delineò”, dirimpettaio in piazza Duomo di Saverio Guttadauro. Ecco il documento.


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