Cultura Scicli

L’incendio del 1924 alla Fabbrica del Pisciotto

Nuove testimonianze e ulteriori indizi per un “Cold Case” ancora irrisolto. Probabilmente fu un’azione contro il barone Polara di Modica o contro l’ingegnere Emmolo



Scicli - Il 2024 è stato un anno importante per la “Fornace Penna”. La Regione Siciliana ha finalmente effettuato l’esproprio per pubblico interesse e, così, si sono potuti iniziare i lavori di messa in sicurezza della fabbrica. In questi giorni quasi 4.000 persone hanno votato l’«ex Fornace Penna» come «Luogo del cuore – FAI» (cioè uno dei «luoghi italiani da non dimenticare») e Legambiente-Scicli sta organizzando un convegno dal titolo “Fornace Futuro Prossimo”. E, infine, nel 2024 sono ricorsi i cento anni dall’incendio che pose fine all’attività della fornace. Proprio riguardo quest’ultimo episodio, nuove testimonianze ci permettono di fare alcune precisazioni e formulare ulteriori ipotesi su chi, o cosa, abbia potuto distruggere la fabbrica. 

 L’ingegnere Ignazio Emmolo (1870-1953)

Ultime rivelazioni dalla famiglia Emmolo

Da quel che si sa, sull’incendio non esistono fonti dirette: a suo tempo nessun giornale ne diede notizia e non furono stilati resoconti ufficiali. L’unica testimonianza secondo noi più attendibile resta quella fornita da Giuseppina Emmolo in Scimone, classe 1907, figlia del progettista dello stabilimento Ignazio Emmolo, ingegnere laureato in Matematica e in Ingegneria idraulica. Intervistata nel 1999 da Giuseppe Savà per il “Giornale di Scicli”, la Emmolo, allora ultranovantenne, diede delle informazioni lucide, precise e particolareggiate.

Oggi, però, grazie anche alla collaborazione di Francesca Gringeri Pantano, siamo in grado di aggiungere una nuova testimonianza: quella dell’ultimogenito dell’ingegnere Emmolo, Angelo, classe 1922. Questi, intervistato dalla figlia Renata nel 2018, ha aggiunto importanti dettagli di cui sentì parlare in famiglia, e le sue informazioni, adesso, risultano preziose perché aprono nuove piste di indagine.

Come ricorda Giuseppina Emmolo, per realizzare lo stabilimento, progettato dal padre, ci vollero tre anni. La fabbrica iniziò la sua attività nel 1912 e prese il nome di “Premiato Stabilimento da laterizi con fornace Hoffmann. Barone Guglielmo Penna & C.”, dove la C. di “Compagni” indicava altri tre componenti della famiglia Penna e l’ingegnere Emmolo per una quota del 10% (in parte di capitale e in parte di prestazioni, non retribuite).

 Fattura della «Fabbrica Laterizi Polara & C. Successori B.ne G. Penna» del 16 aprile 1924.

Le prime commesse importanti di tegole e mattoni arrivarono dopo la guerra in Libia del 1911-1912, in particolare da Tripoli (città ricostruita in gran parte con i laterizi del Pisciotto), ma anche da Malta e dalla Sicilia. In quegli anni la produzione arrivò a toccare i 10 mila pezzi al giorno (così scrive l’Ing. Guglielmo Emmolo, primogenito di Ignazio).

Nel maggio del 1915, però, la fabbrica dovette fermare la produzione per colpa della Grande Guerra: erano venute a mancare manodopera e committenza. Alla fine del conflitto, dopo il 1918, il destino dello stabilimento cambiò drasticamente. L’ingegnere Emmolo non ne volle più sapere di lavorare senza compenso, e Penna diede la gestione dell’opificio a un suo parente di Caltagirone, il cavaliere Ciancio (che di lì a breve morì) e a un certo Annino. Fu quest’ultimo che, non riuscendo a far mettere in funzione la fornace Hoffmann, fece costruire due forni tradizionali più piccoli, a est dell’opificio. Nel frattempo, la crisi economica aveva colpito anche il comparto edilizio e, con esso, anche gli affari della fabbrica. Nel luglio del 1922, inoltre, si ebbe uno sciopero generale di tutte le maestranze, volto fra l’altro a garantire la giornata lavorativa di otto ore.

Nel 1923 la gestione cambiò per l’ultima volta: lo stabilimento venne dato ad un lontano parente dei Penna, il barone Saverio Polara di Modica, che chiese all’ingegnere Emmolo (suo amico e coetaneo) di tornare a lavorare al Pisciotto. Emmolo accettò, anche per i rapporti di amicizia che lo legavano a Polara, ma garantì un impegno soltanto part-time. Contestualmente, il barone Penna promise che da lì alla primavera del 1924 avrebbe provveduto, con l’aiuto di Emmolo, a sostituire il motore che metteva in funzione tutti i macchinari. Questo significa che i laterizi continuarono ad essere prodotti nei due forni più piccoli, e non nella grande fabbrica.

«I miei ricordi più nitidi – continua la signora Emmolo – risalgono a questo periodo, all’estate del 1923», e aggiunge: «Lo stabilimento fu incendiato il 30 gennaio del 1924, all’imbrunire. Ricordo questa data perché undici mesi dopo, il 30 dicembre dello stesso anno, mio fratello Guglielmo si sarebbe laureato in ingegneria a Napoli».

 

 Il barone Saverio Polara in una foto del 1933-34 (per gentile concessione della parente Sig.ra Giulia Genovese Judica).

La gestione del barone Polara di Modica

L’incendio della fabbrica avvenne, quindi, durante la gestione del barone Saverio Polara di Modica. Era, questi, un personaggio veramente interessante. Nato nel 1870 (quando si prende la fabbrica, nel 1923, aveva quindi 53 anni), laureato in Giurisprudenza e iscritto alla Massoneria, il barone da giovane aveva operato nell’àmbito dell’archeologia. Come ci fa sapere Angela Maria Manenti, dal 1901 al 1924 fu Regio Ispettore per il Circondario di Modica, incarico che lo mise in contatto con archeologi di fama come Biagio Pace e, soprattutto, Paolo Orsi.

Successivamente, Polara intraprese diversi affari che, coinvolgendo anche alcuni deputati, lo fecero finire in “Società” oggetto di indagini parlamentari. Fra l’altro (ci informa Giovanni Portelli) fu tra i primi a tentare di esportare i pomodori sciclitani in maniera diretta, senza intermediari.

Il barone fu, inoltre, a Modica un esponente di spicco del socialriformismo (un «barone rosso», lo definì Giuseppe Micciché), in un periodo violento in cui, dopo il «biennio rosso», iniziava l’ascesa del fascismo.

Nel 1924 era, quindi, Polara ad avere in gestione la Fornace del Pisciotto. Ce ne dà conferma una ricevuta, pubblicata da Attilio Trovato, dove si legge l’intestazione “Fabbrica laterizi Polara & C. Successori Barone Guglielmo Penna & C.”. La ricevuta è datata 16 aprile 1924, subito dopo l’incendio: probabilmente riguardava la vendita delle scorte residue di magazzino.

In quel periodo il barone si era trasferito ad Avola, dove aveva sposato in seconde nozze Vincenza Falbo, vedova Mazzone. Negli anni successivi, di lui non si hanno più notizie. Lo ritroviamo nel 1928 in Cirenaica, tra i pionieri della colonizzazione: a Sidi Maius, villaggio di nuova costruzione, aveva avviato la costruzione di una vasta fattoria. La scrittrice Paola Hofmann, che lo conobbe personalmente, lo descrisse come un personaggio «un po’ romantico, un po’ avventuriero, un po’ affarista, un po’ legato politicamente al regime… Insomma, impersonava lo speculatore romantico di quegli anni».

Alla fine, nel 1941, il «barone rosso» venne ucciso, forse dai suoi stessi coloni arabi. Poco prima aveva eroicamente tenuto nascosto per due mesi l’equipaggio di un aereo italiano costretto ad atterrare in territorio nemico.

 

La fornace nei primi decenni degli anni Trenta (da Pasquale Bellia, Fornace Penna di Pisciotto, Firenze 2015). 

Un incidente? O una vendetta di Annino contro Emmolo?

Fatte queste precisazioni – che l’incendio sarebbe avvenuto il 30 gennaio 1924 e che l’allora gestore era il barone Polara, massone e socialriformista di Modica – dobbiamo fare alcune considerazioni.

La prima riguarda la natura dell’incendio. Fu un incidente o fu un atto doloso? A priori, non possiamo escludere l’ipotesi dell’incidente, anche perché tutte le scaffalature e gli infissi erano in legno, così come la copertura e i solai (così scrive l’architetto Tiziana Firrone). Potrebbe essere stato un fulmine, allora. Oppure una scintilla proveniente da un fuoco acceso nelle campagne vicine: la fornace era circondata da vigneti (da qui il nome Pisciotto, che dovrebbe significare «appezzamento di terreno»), e – come ci informa Antonio Iabichino – nei periodi più freddi i resti della potatura venivano bruciati nei vigneti stessi per scongiurare il rischio gelate (fra l’altro, furono proprio gli agricoltori dei fondi vicini e i pescatori di Sampieri i primi ad accorrere per spegnere il fuoco). Queste, o altre cause simili, avrebbero potuto dare inizio all’incendio, in una fabbrica che in quel momento si trovava chiusa (le attività cessavano, infatti, con l’arrivo delle prime piogge autunnali, perché la vicina cava d’argilla diventava allora inutilizzabile).

La signora Emmolo, però, escludeva l’ipotesi dell’incidente: «Dell’origine dolosa del fatto, a casa non si è mai dubitato… E chi fu il mandante dell’incendio? Non certo chi al Pisciotto lavorava… Forse è stato un nemico acerrimo di mio padre, una persona rancorosa, di cui non è rimasto neanche un discendente a Scicli».

Qui si aggiungono due indizi importanti forniti da Angelo Emmolo. Il primo è che l’incendio ebbe diversi inneschi («questo incendio – mi dicono – si sviluppò da diversi punti»). E il secondo è l’identità del mandante: «tutti pensavano che era stato Annino, ma nessuno aveva il coraggio di dirlo», anche perché «la polizia fece delle indagini “così” (vale a dire “approssimative”, ndr)». Annino aveva avuto «dissidi con gli altri componenti della società (parliamo di soldi), e per questo ritirò il suo capitale e se ne uscì».

La vera vittima: il barone Polara

Per quanto riguarda i mandanti di una eventuale azione criminosa, in questi decenni sono state fatte le ipotesi più disparate. Furono i socialisti? Ma perché mettersi contro Polara, che in fondo era «uno dei loro»? O furono i fascisti? Che, però, non avrebbero mai agito contro il barone Penna. Furono gli operai, che volevano un aumento di stipendio e speravano di ottenerlo con un’azione intimidatoria? O fu lo stesso Penna, che voleva incassare i soldi dell’assicurazione? L’ultima ipotesi in ordine di tempo l’ha formulata Distefano nello scorso numero di ottobre del GdS: secondo la testimonianza di suo nonno, fu la concorrenza dei «ciaramitari» di Modica.

In ogni caso, la vera vittima dell’incendio fu il barone Polara. Certo, Guglielmo Penna subì un danno, anche se, appena informato dell’incendio, il suo commento a caldo fu: «Lo stabilimento non c’è più. Hanno tolto il pane a tanti operai. A me non hanno tolto nulla» (e, in effetti, Penna continuò ad essere una delle persone più ricche e influenti di Scicli). Anche l’ingegnere Emmolo fu danneggiato: perse un incarico, ma in fondo si trattava di un lavoro part-time, e per giunta forse nemmeno tanto redditizio. Invece, chi venne veramente danneggiato fu Polara. Per lui l’«affare» del Pisciotto durò pochi mesi, e finì sicuramente con una grave perdita economica. Non a caso fu lui a dovere andar via dalla Sicilia, a cercare (e a trovare) fortuna in Cirenaica.

Riguardo Polara, un nuovo indizio ancora potrebbe venire da una lettera (citata da Enrico Iachello) che questi scrisse il 18 gennaio 1924 (pochi giorni prima dell’incendio) all’onorevole socialista Eduardo Di Giovanni. In questa, il barone modicano definiva i massoni di Scicli «un triangolo rabbiosamente fascista, intollerante e violento». Tra i sospettati, dunque, dobbiamo aggiungere anche i massoni sciclitani.

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In conclusione: se si trattò di un’azione dolosa, un’ipotesi potrebbe essere quella di una vendetta di Annino contro l’Ingegnere Emmolo. Un’altra ipotesi sarebbe quella di un’azione maturata in àmbito politico o massonico contro il barone Polara.  

In mancanza di prove certe, non ci resta che continuare a cercare ancora indizi, tenendo presente quello che nel 2008 scrisse il giudice Severino Santiapichi: «Questa vicenda pare semplice e forse lo è: alla maniera di Sciascia, con dentro un busillis».

Nelle foto, l'ingegnere Ignazio Emmolo (1870-1953), la Fattura della «Fabbrica Laterizi Polara & C. Successori B.ne G. Penna» del 16 aprile 1924. 2.. Le foto 1 e 2 sono tratte da Attilio Trovato, Scicli. La città delle due fiumare, Erre Produzioni 2001. 3. Il barone Saverio Polara in una foto del 1933-34 (per gentile concessione della parente Sig.ra Giulia Genovese Judica). La foto della fornace nei primi decenni degli anni Trenta (da Pasquale Bellia, Fornace Penna di Pisciotto, Firenze 2015). 

* Paolo Militello è professore associato di Storia moderna presso il Dipartimento di Scienze politiche e sociali dell'Università degli Studi di Catania.


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