Cultura Scicli

Il Risorto di Scicli tra politica e fede

L’ingenua trovata di mettergli in una mano una bandiera per un verso rossa fece nel tempo di una statua un idolo

https://www.ragusanews.com/immagini_articoli/31-03-2024/il-risorto-di-scicli-tra-politica-e-fede-500.jpg Il Risorto di Scicli tra politica e fede


Scicli - Il Risorto di Scicli, più universalmente conosciuto come “U Gioia” e la festa di Pasqua sciclitana oggi, 31 marzo 2024, sono diventati un evento mediatico. E non poteva essere diversamente. I Media, i cellulari di ultima generazione, i vari Social, scatenati tutti in una lotta all’ultima inquadratura e all’ultimo scatto, hanno fatto di un simulacro di buona fattura un autentico divo, il vero protagonista di una storia cittadina che non esita ad arruolarlo quando c’è da gioire e da festeggiare.

Il Cristo Risorto di Scicli non sempre tuttavia si è fatto arruolare.

Oggi lo scopriamo elemento di comunione e attrazione turistica, ieri fu invece icona di divisione e di protesta, voce di chi non aveva voce o non poteva gridare.

L’ingenua trovata di mettergli in una mano una bandiera per un verso rossa fece nel tempo di una statua un idolo, un modello muto ma sapientemente parlante, a parte la grande espressività dell’opera.

Il Risorto, altrimenti conosciuto anche come “Uomo vivo”, parla, infatti, da diversi secoli al cuore della sua gente suggerendo parole che nessuno oserebbe pronunciare mai in un certo contesto: l’uguaglianza delle classi, il riscatto dei lavoratori, la giusta mercede dell’operaio, la lotta contro lo sfruttamento e la segregazione. Nozioni ovvie che i Vangeli hanno da millenni predicato, disattese in realtà perché mai le parole hanno avuto nel cuore degli uomini il peso e lo spessore di una sana coscienza.

Quando il Risorto diventò il capopopolo sciclitano?

Fu durante una festa di Pasqua, raccontava a mio padre mio nonno, uomo dell’Ottocento perfettamente integrato nella società sciclitana del suo tempo. Francesco Mormina Penna, il barone mazziniano sciclitano, aveva fondato in città il Fascio dei lavoratori, guadagnandosi per questo la nomea di pecora nera della borghesia cittadina. Mio nonno, che aveva imparato a leggere e a scrivere durante la prima tornata di leva obbligatoria disposta dal nascente Regno d’Italia, collaborava col barone per la recluta degli adepti.

Si costruiva Palazzo Busacca dove prima erano i magazzini del grano del Conte di Modica, spazio acquistato dall’Opera Pia Pietro di Lorenzo.

La processione del Cristo, portato a spalla come da antica consuetudine da giovani che facevano capo a due grandi organizzazioni sociali, a quella dei braccianti agricoli e prima ancora dei giardinieri, i “cannavatari”,  che coltivavano intensivamente le fertili sponde del torrente Modica Scicli,“ e all’altra dei macellai, si scontrò con i Reali Carabinieri fatti intervenire da alcuni notabili della città. I portatori del Risorto invocavano a gran voce riforme agrarie, perequazione sociale, sulla spinta di una dottrina marxista che come un vento di tramontana agitava non solo Scicli e la Sicilia, ma l’Europa tutta. Il cantiere del nascente Palazzo Busacca si rivelò un’ottima miniera nella quale reperire sassi e sabbia da lanciare contro i Reali Carabinieri.

Il tafferuglio fu presto sedato, raccontava mio padre trasmettendomi la versione di mio nonno. Molti furono identificati e denunciati, poi convocati in caserma, tra i quali anche mio nonno. Tutto finì fortunatamente in una bolla di sapone.

Io non so se questo racconto sia vero e corrispondente alle cronache del tempo perché non l’ho verificato. Mio padre comunque lo raccontava con molta enfasi.

La venerazione del “Gioia” ha avuto in ogni caso sempre a che fare con qualcosa di altro dalla fede.

Durante il fascismo, è noto che la statua non fosse particolarmente simpatica al regime e, alla fine della Seconda Guerra Mondiale, la città celebrò la liberazione portandola in giro come simbolo di un riscatto necessario da un incubo che nessuno si era mai sognato di vivere.

La lotta per l’accaparramento delle “uccule” cioè dei grossi anelli di ferro posti alle estremità delle due aste sulle quali è montato il fercolo contenente la statua del Cristo, era proverbiale.

Capu uccularu” si diceva sprezzantemente in gergo di chi tramava e manipolava situazioni e persone a suo vantaggio. In effetti, chi conquistava la “uccula” poteva orientare i portatori e dirigere il Cristo nel percorso a suo piacimento.

Dopo la liberazione, con l’avvento della Repubblica e di libere elezioni, la città fu teatro di un’accanita lotta tra democristiani e comunisti. Alla fine prevalse il partito comunista la cui bandiera rossa spesso sventolò sulla vetta del campanile della maestosa Matrice sconsacrata di San Matteo, millenaria testimonianza silenziosa dei destini di Scicli.

Il Cristo, negli anni Cinquanta del secolo scorso, faceva l’inchino alla sezione locale della Camera del Lavoro, un elegante stabile strappato ai nobili che prima lì si riunivano per un antico circolo di conversazione.

In un perenne diverbio con l’Ordinario diocesano, sempre negli anni Cinquanta del secolo scorso, i portatori sfidavano i carabinieri e le forze dell’ordine che, su richiesta del vescovo di Noto, cercavano di dare un senso disciplinato e liturgico alla processione pasquale.

Personalmente ricordo il Cristo abbandonato dai portatori a terra, davanti all’attuale Chiesa Madre in piazza Italia, in un clima di aspro confronto con le autorità ecclesiastiche. Recuperato dai confrati della Confraternita di Santa Maria la Nova, il Cristo rientrava mestamente in chiesa.

Per questo, allora, qualcuno lo soprannominò “U Signuri re cuorpi” perché il ceto popolare era così geloso del Cristo da non tollerare, anche a costo di menare le mani, le intrusioni di nessuno, fosse anche un vescovo, per un intimo e segreto rapporto d’amore con una statua che statua non era più ma icona portatrice delle sue più oneste aspettative.

La pace raggiunta con la doppia processione e cioè a spalla la mattina e la sera, nel pomeriggio con la statua caricata su una vettura, riappacificò gli animi.

Oggi il Cristo ha riaffermato il suo ruolo di “Gioia superstar” e a ragione.

Donna Stella Savà, popolana umile ma intelligente, raccoglieva fiori in tutta la città per profumare con i loro petali il passaggio del Cristo e prima ancora il passaggio della processione del Venerabile.

Aveva capito questa donna, nella semplicità della sua fede, il messaggio diretto di quella statua parlante.

Donna Stella lo attese fino all’ultimo anno di vita come le pie donne che andavano al sepolcro alle quali il Risorto apparve secondo le scritture.

Altre donne distribuiscono fiori sul suo cammino oggi e lo faranno sempre perché Scicli e il “Gioia” hanno ancora molta storia da scrivere e da raccontare.

Perché la presenza del “Gioia” in mezzo agli sciclitani con i suoi ritorni primaverili è garanzia per molti di salvezza eterna e di vita.

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