Madrid - Era nell’aria e doveva succedere. Per le vie di Madrid, nei locali pubblici, in tutta la Spagna, la notizia dell’abdicazione del re Juan Carlos I, era attesa e scontata.
L’ultima volta che ho visto in televisione il re Juan Carlos I, al ritorno di un tour di stato negli Emirati arabi, era visibilmente affaticato, gonfio di cortisonici, la salute precaria e compromessa.
Dopo l’incidente occorso durante un infelice safari in Botswana, le prime bugie e l’umiliante ammissione pubblica dell’errore, la sua popolarità ha conosciuto un declino inarrestabile e preoccupante.
Fino a quando si è trattato di perdonargli le innumerevoli scappatelle con amanti di tutti i generi, gli spagnoli sono stati un popolo eccessivamente indulgente e tollerante, ma in quel safari non venne meno la fiducia popolare, si mise per la prima volta solennemente in discussione la credibilità della Corona.
Juan Carlos I lascia una Spagna moralmente distrutta; la Casa Reale ridicolizzata da processi mediatici e da megascandali finanziari; uno scollamento totale e la disaffezione delle masse che hanno duramente contestato Felipe, il figlio ed erede al trono, nelle ultime apparizioni pubbliche; laceranti bracci di ferro indipendentisti tra Artur Mas, Presidente della Generalitat di Catalunya, il suo collega della Comunità Autonoma del Paese Basco (Euskadi) e un governo fantoccio presieduto da Mariano Rajoy, esponente del Partido Popular (Partito democratico spagnolo, in buona sostanza rifugio del vecchio franchismo).
La disoccupazione è a livelli altissimi, il licenziamento è selvaggio.
La precarietà istituzionale e una governance, concordata astutamente dal Partido Popular (PP) e dal Partido Socialista Obrero Español (PSOE), molto simili a quelle italiane, sono state fortemente penalizzate dalle urne nelle ultime votazioni europee. Significativa e strabiliante durante le ultime elezioni è stata l’affermazione di “Podemos”, un movimento quasi identico all’italiano M5stelle a capo del quale è un giovane professore universitario dell’Università Complutense di Madrid, Pablo Iglesias, noto opinionista e polemista.
Le ombre su un’ipotizzata connivenza del re nel complotto del generale Tejero del 23 febbraio del 1981 si sono fatte sempre più lunghe, ingigantite dal dibattito aspro e mai persuaso nelle reti sociali.
L’ombra di Franco, al quale Juan Carlos giurò fedeltà pur di ritornare in possesso del regno di Spagna, umiliando il vero erede, il padre, ha offuscato negli anni il suo mandato.
La Capitale negli ultimi tre anni è irriconoscibile.
Sporca come mai, confusa, in crisi come la maggior parte degli spagnoli.
Da sempre Madrid è stata il vero cuore della Spagna, la cartina di tornasole. E continua ad esserlo.
Felipe raccoglie un’eredità fatta di macerie, di glorie frantumate, d’incertezze dinastiche.
Due bimbe e nessun erede maschio lo rendono estremamente vulnerabile e prigioniero di una politica non del tutto asservita, alla quale prima o poi dovrà inginocchiarsi per chiedere quella modifica costituzionale che permetterebbe di governare alla sua primogenita.
O dovrà fare un colpo di mano come lo fece Fernando VII, suo avo, quando nel 1830 rispolverò e promulgò una Pragmática Sanciόn, approvata nel 1789 dal padre Carlo IV, per conservare alla figlia Isabella II il potere. Una deroga, allora, che escluse dal trono l’infante don Carlo Maria Isidoro, fratello del re e legittimo erede in quanto maschio, scatenando la prima guerra carlista.
Esce dalla scena politica spagnola con Juan Carlos I la regina Sofia, moglie paziente e consigliere fedele, una delle figure dinastiche più carismatiche e più intelligenti d’Europa.
Letizia Ortiz, moglie di Felipe, una spregiudicata arrampicatrice sociale né nobile, né borghese di Oviedo ma solo furba, prenderà il suo posto.
Forse è la donna giusta di cui oggi la Nazione ha bisogno.
Laica, con un passato di fervente repubblicana, è trasformista e discreta, popolana e moderna, mediatica e risoluta: una donna manager, perfetta anticonformista, per una vecchia monarchia in declino.