Cultura Ragusa

Il Palazzo del Governo a Ragusa tra architettura e cicli decorativi

Il ciclo del Cambellotti



Ragusa - La decisione di costruire il palazzo del Governo nella nuova provincia di Ragusa è presa il 18 ottobre 1928. L’incarico è affidato a Ugo Tarchi, professore di architettura presso l’Istituto Superiore di Belle Arti di Roma. Al Tarchi è affidata anche la direzione dei lavori, affiancato dall’ing. Giuseppe Criscione fino al 1932 e successivamente dall’ing. Francesco Modica. In sostanza il Palazzo nel suo disegno trae spunto dal Municipio a cui si affiancherà. I lavori, appaltati alla Società Peloritana Anonima Costruzione Ediliza di Messina nell’aprile del 1929 per l’importo di L.2.483.571, sono quasi a conclusione nel 1933. In una relazione dell’undici aprile del 1933 a cura del viceprefetto Salvatore Azzaro si legge che il “Palazzo è quasi compiuto, mancando soltanto le pitture nei saloni di rappresentanza”. Gli appalti-concorso per l’esecuzione degli apparati decorativi sono deliberati il 21 maggio 1932. Non sarà deciso in quell' occasione l’affidamento della decorazione pittorica a tempera dei tre saloni che sarà affidata con incarico diretto a Duilio Cambellotti per il compenso di Lire 123.000 l’anno dopo, per quanto il contatto tra il Pennavaria e il Cambellotti, secondo Mario Quesada, sarebbe avvenuto nel 1930, in occasione della rappresentazione dell’ Ifigenia in Aulide di Euripide al Teatro Greco di Siracusa, in cui il Cambellotti era e sarà di casa, avendo iniziato la sua collaborazione come scenografo nel 1914 e portata avanti fino al 1948. Nel maggio del 1933, data l’inadeguatezza dei locali del Palazzo del Governo, la Provincia acquista dal Comune il salone attiguo a quello dei ricevimenti, da adibirsi a sala di riunione del Rettorato. Quella sala sarà affrescata e decorata con stucchi tra il 1937 e il 1938 dal pittore palermitano Eugenio Morici, docente presso la Reale Accademia di Belle Arti di Palermo con la collaborazione del pittore Giuseppe Rizzo per il costo di Lire 30.000.
Il Palazzo, dicevamo, completa su tre lati il Municipio, progettato dall’ing. Francesco Danisi nel 1866, con prospetto principale su corso Italia. Il Tarchi imposta la facciata principale della Prefettura sulla Via Rapisardi, su un alto basamento, su due ordini (il tuscanico nel primo ordine e il corinzio composito nel secondo), con una sequenza di finestre nei due ordini, interrotta dal portale centrale e dalla loggia finestrata soprastante. Il blocco si articola ad U su Corso Vittorio Emanuele. Per uniformare il complesso dal 1932 saranno modificati anche i prospetti del palazzo comunale, ridisegnando alcune finestre e togliendo alcune sculture.
L’ingresso al piano nobile si ha dal cortile quadrangolare, decorato da quattro colonne doriche che sorreggono quattro aquile romane. Due lapidi di marmo sormontate da elmetti sono poste sul lato del Municipio. Questi interventi decorativi disegnati dal Tarchi sono opera del prof. Umberto Diano, autore anche della fontana e dei due altorilievi simbolici collocati nel prospetto di Corso Vittorio Veneto.
Nello scalone ufficiale che porta al primo piano si trovano due grandi vetrate. La prima raffigura l’ Allegoria del Trionfo fascista, un Ercole con la leontea che regge con la sinistra un fascio littorio e con la destra una Vittoria alata, sopra un riquadro con l’aquila tra fasci littori, la data Ottobre 1922 e la scritta Allegoria della Vittoria di Vittorio Veneto sopra lo stemma dei Savoia sostenuto da due putti, la data 1917 e la scritta VICTORIA MANUM RESURGIT IMPERIUM; la seconda l’.VI.ITALICA.FULGENS. Opere entrambi del maestro vetraio Giovanni Talleri di Firenze per il costo di L.10.500. Sempre nella stessa scala, in due nicchie, si trovano due copie delle sculture romane antiche rappresentanti l’ Allegoria di Roma e l ’Allegoria dell’Agricoltura, copie eseguite dalla ditta Fratelli Marsili di Roma per il prezzo di L.5.000. I marmi dello scalone d’onore sono realizzati dalla ditta Umberto Bruni dell’Istituto San Michele di Roma.
Dopo aver percorso un corridoio a L si entra nel salone di rappresentanza, impaginato in trompe-l’oeil, con una struttura architettonica fatta da colonne, archi e fregi, aquile e fasci littori che assecondano e integrano le finestre reali sui lati lunghi e le porte sui lati corti, una struttura illusionistica disegnata da Ugo Tarchi. Nelle due pareti corte vi si trovano le tempere di Duilio Cambellotti.
Nella parete dell’ingresso alla stanza (affianco alla stanza del camino) si trovano tre pannelli al di là di un arco di trionfo a tre fornici raffiguranti in un’unica scena la Celebrazione di Vittorio Veneto. Nel pannello centrale dieci soldati stanno per issare su un piedistallo cilindrico (in cui è rappresentata la lupa capitolina e la scritta S.P.Q.R.) la statua dorata della Vittoria alata che annota su uno scudo la data IV NOV. MCMXVIII (1918). Assistono alla scena (al centro a destra) il duca d’Aosta, Armando Diaz e Vittorio Emanuele III, al suono delle trombe di sei trombettieri; in primo piano, in basso, tre soldati, cinque cavalli e la bandiera italiana con lo scudo sabaudo. In basso due teste d’aquila. Nel pannello di sinistra, su uno sfondo di montagne, sette soldati, tra quattro cavalli, stanno per issare con pali la statua della Vittoria del pannello centrale; al centro un cumulo di fucili, elmetti, e cannoni tra bandiere blu. Nel pannello di destra, dove domina al centro un cavallo nello stesso paesaggio montano, altri soldati con delle funi partecipano nel collocare sul piedistallo la statua suddetta.
Nella parete a fronte di quella sopra descritta, con lo stesso impianto architettonico di un loggiato aperto, in trompe l’oeil, in tre pannelli si celebra il Trionfo del Fascismo (la Marcia su Roma). Nel pannello centrale domina al centro Benito Mussolini, vestito con la camicia nera e con un cappotto nero, in atto di salutare con la destra col saluto fascista, mentre con la sinistra tiene una pergamena, probabile allusione al decreto dell’istituzione della Provincia di Ragusa. E’ circondato da camicie nere, da soldati e da bandiere al vento. Tra gli altri s' individuano i quadrunviri e il senatore Filippo Pennavaria. Di spalle al Duce la statua di Giulio Cesare in veste senatoria. Fanno da sfondo alcune opere e alcuni monumenti di Roma: i Dioscuri e la statua di Marco Aurelio di piazza del Campidoglio, il Colosseo, il Teatro di Marcello, ruderi dei Fori imperiali, tra cui due archi di trionfo, la Basilica di Massenzio, la chiesa del Gesù.
Nel pannello di sinistra la sfilata delle camice nere, di soldati con stendardi e gagliardetti, tra bambini in primo piano. Nello sfondo la colonna Traiana, i Dioscuri di Piazza del Quirinale, la colonna dell’Immacolata di Piazza di Spagna, le Terme di Diocleziano, alcune ciminiere, una torre.
Nel pannello destro altri soldati, altre camice nere, uno guida un automobile, una madre con bambino: sullo sfondo Castel Sant’Angelo, San Pietro, Sant’Ivo alla Sapienza, il Pantheon, la statua di Garibaldi. Nel tetto cassettonato al centro si trova un’aquila dorata, opera della ditta Augusto Innocenti di Firenze); nel pavimento in marmi policromi al centro la rappresentazione della Trinacria, simbolo della Sicilia (opera della ditta Arturo Palla di Pietrasanta). La stanza è decorata da due grandi candelabri, da un lampadario e da applique in ferro battuto (opera di Isnaldo Petrassi, direttore artistico dell’officina dell’Istituto San Michele di Roma). Le porte e gli arredi lignei sono opera della ditta Puccini di Cascina. Tutti gli arredi sono disegnati da Ugo Tarchi.
Adiacente al salone di rappresentanza si trova la sala del camino. In questa sala il Cambellotti raffigura su una parete Ragusa Ibla nel contesto delle brulle colline circostanti, scegliendo il punto di vista di Ragusa Superiore all’altezza di Santa Maria delle Scale: la città è rappresentata con un colpo d’occhio unitario di tetti. Da risalto alla chiesa di San Giorgio, a San Francesco all’Immacolata, al campanile di Santa Maria delle Scale, aggiungendo, inventandolo, sul cocuzzolo della collina il castello dei Conti che oramai era stato demolito. In basso colloca la lunetta del portale tardogotica di San Giorgio, raffigurante San Giorgio e il drago.
Sulla parete di fronte a quella sopra descritta è raffigurato il paesaggio di Ragusa Superiore, con al centro la chiesa di San Giovanni, integrata dal campanile destro che nella realtà manca e le emergenze architettoniche ecclesiastiche della chiesa della Badia, dell’Ecce Homo, del SS.Salvatore, il Ponte vecchio e il ponte nuovo ancora in costruzione. A distanza, sulla sinistra in alto s'intravede un grande monumento equestre. In primo piano il campanile della prefettura e la testa mozzata del Battista, il capolavoro in argento di Paolo e Cesare Aversa, assunto a simbolo della città alta.
Sulla parete sopra il camino, nella lunga fascia rettangolare, un grande impianto industriale in metallo, simbolo della lavorazione dell’asfalto, con alle spalle rocce asfaltiche scheggiate, l’altopiano ibleo e l’Etna in lontananza.
Sul lato delle finestre si rappresenta la campagna iblea con i campi cintati dai muri a secco, i bovini, i carrubi, una masseria e contadini che arano la terra.
Nella fascia sottostante ai temi sopradescritti sono dipinti in monocromato temi allegorici del lavoro ragusano dall’officina alla carpenteria marinara, dai prodotti dell’agricoltura e dell’allevamento agli attrezzi dell’edilizia, agli oggetti in ceramica, agli attrezzi del falegname.
Nell’ultima stanza di quest'ala, la sala da pranzo, nelle quattro pareti dipinte sempre a tempera in trompe l’oeil si rappresenta l’azzurro del cielo che si apre dietro ad un loggiato ligneo tra pergolati di zibibbo, di piante di fichidindia. Sulla parete di fondo, in cui si trova una fontana in marmo policromo con al centro un medaglione raffigurante la Trinacria, si staglia un mandorlo in fiore; sul lato di fronte alle finestre un arancio, con affianco un carrubo, un albero di fico e sulla parete che affianca la sala del camino un albero di ulivo.
Dall’altro lato del salone di rappresentanza si accede alla sala delle riunioni costruita in un secondo tempo ed affrescata come dicevamo da Eugenio Morici, con la collaborazione del Rizzo.
Sulla parete di fondo sono rappresentati simboli ed eventi dell’Impero Romano. In primo piano la madre romana che porta in braccio un bambino ed avente al suo fianco un ragazzino; la lotta dei barbari con il Gallo morente, un guerriero ferito e due guerrieri in lotta. Di spalle la statua di Giulio Cesare e tre cavalieri vittoriosi. Nella parete a fronte è rappresentata la Glorificazione dell’Impero Fascista, con i ritratti equestri del Re, del Duce e di Badoglio in trionfo, circondati da tre combattenti a torso nudo, dal giovane fascista che porta il gagliardetto dei Fasci, da due giovani sportivi, un uomo e una donna, da una donna e da due lavoratori che trasportano due blocchi di pietra. In una delle pareti corte (quella di sinistra entrando nella stanza dal salone) è simbolicamente rappresentato il lavoro nella terra d’Africa, composto da una figura femminile nuda etiopica che sorregge in testa un grande vaso e, di spalle, due figure di lavoratori a torso nudo. Sull’altra parete, a destra entrando, è raffigurata la partenza dei legionari, composta da due figure che si abbracciano, davanti la passerella del piroscafo, dove sono poste la Vittoria guerriera con un grande scudo rotondo nel braccio sinistro, del legionario che segue, vestito in pieno assetto di guerra. Nel soffitto, in bassorilievo in stucco, il Morici realizza un pannello rettangolare con la rappresentazione di tre Vittorie.
Non sappiamo che fine abbiano fatto i busti in bronzo del Re e del Duce commissionati allo scultore Ermenegildo Luppi per il costo di Lire 12.00 (era stata accontonata la possibilità dell’incarico per la stessa commissione allo scultore E.Selva per il costo di Lire 45.000).
Nel dare una valutazione complessiva dell’intera opera c’è da rilevare che si trattò di un intervento romano per la progettazione e centro settentrionale, prevalentemente, per le maestranze degli interventi decorativi, se si esclude la presenza del prof. Diano e del Morici. Un caso unico nella storia iblea. Il ruolo centrale fu quello del Tarchi e del Cambellotti. Sono del Tarchi, infatti, sia gli interventi architettonici che tutti i disegni dell’apparato decorativo, degli stucchi, dei mobili, dei candelabri fatta eccezione dei soggetti raffigurati dal Cambellotti. Quest’ultimo da un lato nel rendere omaggio al Fascismo lo fa retoricamente nei pannelli del salone di rappresentanza, mentre risolve felicemente la rappresentazione dei temi iblei. Del tutto infelici stilisticamente gli affreschi che firma il Morici, collaborato probabilmente dal Rizzo.


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