Roma - Con il decreto liquidità il governo Conte ha dato il via libera a 400 miliardi di euro di prestiti agevolati alle imprese (dopo i 350 miliardi del Cura Italia), coperti da garanzie esterne, cioè non portati dall’impresa stessa: quelle del Fondo di garanzia per le Pmi per le aziende più piccole, fino a 499 dipendenti, e quelle della Sace per le società più grandi, con oltre 499 dipendenti.
In pratica, se l’azienda non riesce a rimborsare il finanziamento provvederà a farlo uno di questi due enti e la banca non accumulerà sofferenze. Ma come si fa a chiedere questi soldi? Ancora non ci sono regole definite, il sistema bancario e le società deputate alla garanzia stanno apprendendo i meccanismi di un decreto che, ancora, non è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale, anzi, esiste solo in bozza. Tutto è ancora da definire in concreto, dunque. Cerchiamo però di capire orientativamente come potrebbe funzionare. Il presupposto certo è che bisogna andare in banca. E che le fasce d’intervento variano, anch’esse, con le dimensioni delle imprese. I tassi passivi sono definiti «vicini allo zero», ma naturalmente ci saranno. E la somma che si può richiedere non deve superare il 25% del fatturato del 2019, secondo la bozza di decreto in circolazione.
Le imprese più piccole, cioè sotto i 499 dipendenti.
In questo caso a garantire per loro è il Fondo di garanzia per le Pmi. È una agevolazione del ministero dello Sviluppo economico, finanziata anche con risorse europee, «che può essere attivata solo a fronte di finanziamenti concessi da banche, società di leasing e altri intermediari finanziari a favore di imprese e professionisti», ricorda il sito.
Allo stato attuale, l’impresa deve rivolgersi alla banca e chiedere il prestito, specificando che vuole la garanzia del Fondo. In alternativa può passare da un Confidi accreditato. Per i prestiti fino a 25 mila euro è previsto che venga introdotta una procedura agevolata, cioè senza istruttoria (l’indagine sui conti dell’impresa). In questo caso la garanzia pubblica è completa, copre cioè il 100% del finanziamento. Che evidentemente andrà comunque rimborsato, in un lasso di tempo fino a sei anni dall’erogazione, salvo gravi impedimenti. L’erogazione dovrebbe essere rapida, il decreto nasce infatti anche per superare gli ostacoli burocratici.
Le piccole e medie imprese (sempre sotto i 499 dipendenti) che hanno bisogno di una cifra maggiore di 25 mila euro, cioè fino a 800 mila euro.
Il primo passaggio è andare in banca, a partire da quando il decreto Liquidità sarà pronto e pubblicato in Gazzetta Ufficiale. Poniamo che l’azienda debba chiedere 500 mila euro. Se il suo fatturato è sotto i 3,2 milioni di euro, le resta l’ombrello della garanzia pubblica completa, che copre cioè il 100% dell’importo. In questo caso l’istruttoria dovrà esserci, cioè un’indagine sullo stato di salute dell’azienda negli ultimi due anni. Saranno vagliati dal fondo di garanzia i bilanci e le dichiarazioni dei redditi, si presuppone dunque che l’azienda sia sana e con i conti in ordine. E se servono più di 800 mila euro? In questo caso, sempre dopo il vaglio dei bilanci, la garanzia scende al 90% (ma può tornare piena se interviene Confidi).
Le grandi aziende.
Anch’esse hanno diritto a finanziamenti con garanzia pubblica con un percorso agevolato. Però dovranno innanzitutto attendere l’ok al decreto da parte della Commissione Ue. Niente di certo ancora, dunque. Inoltre per loro a garantire dovrà essere la Sace. È la società che già supporta le imprese soprattutto sull’export e nell’espansione oltreconfine, con interventi e garanzie diversi. Al momento comunque Sace, come le banche del resto, il decreto Liquidità lo sta ancora studiando in bozza. Deve preparare la relazione sulle proprie disponibilità da inviare al Tesoro entro dieci giorni dal 6 aprile. Quel che si sa è che la sua garanzia potrà arrivare non al 100% bensì al 90% per le grandi aziende con meno di 5 mila dipendenti e un fatturato fino a 1,5 miliardi, mentre scenderà successivamente al calare dei ricavi: all’80% per le imprese con giro d’affari fra 1,5 e 5 miliardi di euro, al 70% per le aziende sopra i 5 miliardi. Le garanzie saranno concesse fino al 31 dicembre , è scritto nella bozza del decreto, e c’è un tetto massimo, 200 miliardi di euro. Di questi, 30 milioni potrebbero comunque andare (così è scritto in bozza) a Pmi, lavoratori autonomi e professionisti con Partita Iva. La condizione per tutti è che l’impresa al 31 dicembre 2019 non risultasse in difficoltà e al febbraio 2020 «non fosse presente fra le esposizioni deteriorate della banca», raccomanda il decreto. L’importo del finanziamento, anche qui, non deve superare il 25% del fatturato 2019 (o in base ai dati 2019 certificati, se l’impresa non ha ancora approvato il bilancio), né essere superiore al «doppio dei costi del personale dell’impresa relativi al 2019». Per la garanzia si pagano delle commissioni: «25 punti base nel primo anno, 50 nel secondo e terzo, 200 nel quarto, quinto e sesto anno». L’azienda poi deve rinunciare alla distribuzione dei dividendi «nei 12 mesi successivi all’erogazione del finanziamento».