Cultura Scicli

Per Piero Guccione, una testimonianza

Braque scrive: amo la regola che corregge l'emozione; per Piero l'emozione era anche regola

https://www.ragusanews.com/immagini_articoli/12-10-2018/piero-guccione-testimonianza-500.jpg I funerali di Piero Guccione


Scicli - La morte di noi uomini è inesorabile, ma la vita dell'arte è altrettanto inesorabile. Piero ora non c'è, ma le sue opere sono vive e presenti nella nostra coscienza e continueranno a farci vivere, a farci pensare, a farci sorprendere difronte alla bellezza del Creato. Le sue parole frequenti difronte alla natura erano: meraviglia e stupore. Le sua parola sulla vita era: mistero; la vita è misteriosa e nel suo mistero tutto può accadere di esaltante e di tragico, tutto è dentro il mistero. Vale per il suo modo di essere quanto scrive San Paolo, nell'inno alla Carità nella lettera ai Corinzi: aveva sempre comprensione e compassione e quanti episodi potrebbero raccontarsi di gesti e di azioni in cui alle debolezze umane nei suoi confronti aveva una risposta di comprensione. Sentiva di essere un pittore, di essere artista come necessità di vivere, vivendo per il suo lavoro, artigiano e intellettuale nello stesso tempo, fidandosi e affidandosi innanzitutto al suo inconscio. Braque scrive: amo la regola che corregge l'emozione; per Piero l'emozione era anche regola. Non si è mai posto il problema della contemporaneità come linguaggio, essendo un grande contemporaneo nella lettura, nella interpretazione e nella restituzione creativa della realtà, inestricabile sintesi tra sguardo, mente, cuore, passione e pulsione.

Le sue opere, che in prima istanza sono semplici, in effetti sono di grande complessità. Nella loro intensità hanno sempre un significato, quasi mai reso esplicito da Piero. Amava il mondo, la natura, gli uomini e contemporaneamente si indignava difronte alla volgarità. Tutti i tasti dei sentimenti li ha trasferiti nelle sue opere, dal brio di un mandorlo in fiore davanti, ad un verde carrubo, alla sensualità carnosa e carnale di un fiore di ibisco, il suo fiore più amato; dalla malinconia raccontata dalle pietre di Quartarella, ai lacerti di sangue e di sofferenza dei carrubi iblei; dall'indignazione per la natura offesa dai rifiuti, all'estatica contemplazione di un cielo stellato o di un cielo azzurro, dove la luna mattutina bianca come cipria si posa; ed ancora da un nobile e alto intervento di giudizio politico affidato ad una nuvola nera sui campi di Portella della Ginestra, a un invadente fumo nerastro del potere che lentamente contamina un grande cielo azzurro della civile vita della democrazia. Nel suo volto si leggeva la grazia innanzitutto, la dolcezza del sorriso, l'amabilità. Costante la commozione e l'amore per la natura, col bisogno di attraversare la campagna popolata di carrubi, di andare a Sampieri per incontrare con lo sguardo il mare, guardarlo con intensità, e, per quanto fosse in compagnia di Sonia, degli amici pittori e non, il suo dialogo coll'azzurro del mare e del cielo era solitario, era suo e condivisibile con gli altri solo dopo averlo dipinto. L'inquietudine nelle sue opere resta una costante, sottesa o appena accennata; la meraviglia della bellezza vi è compresente con la putredine e la possibile morte.

Le categorie dell'arte che nel tempo si sono consolidate, compresa la categoria o le categorie del Novecento, sono tenute in conto nella sua opera: Piero è un classico e un romantico insieme, è un espressionista e un astratto insieme, è un michelangiolesco e un cezanniano, tra i più cezanniani dei cezanniani insieme. Claude Bernard, un suo mercante, dice: Guccione è Guccione.
Due giudizi di valore, due considerazioni mi ritornano in mente. Quello di una grande scrittrice americana che non ha bisogno di essere riconosciuta, e che, in quanto americana, è lontana dalla mischia sia europea che italiana, Susan Sontag, che scrive di Piero: "Considero Piero Guccione il massimo pittore italiano contemporaneo" e aggiunge: "La varietà dei suoi soggetti è eroica". L'altra riflessione è quella di Gesualdo Bufalino, un suo grande conterraneo. Scrive Bufalino: "Vista e visione, dunque, nemiche e alleate insieme sulla tavolozza di ciascun pittore: ma una terza parola mi viene alle labbra e sei tu, Piero, a suggerirmela. E la parola "visibilio", e cioè l'estasi dello sguardo, dell'occhio che si innamora del Creato come può esserne innamorata la pupilla di Dio il settimo giorno dopo il Fiat, oppure all'indomani del diluvio, quando la colomba si levò a volo e vide la terra riemergere vergine e grondante dai flutti".
A voler percorrere la sua lunga esperienza, se gli anni giovanili sono di formazione, la sua autonomia e il suo viaggio in solitaria cominciano nei primi anni Sessanta. Da quel momento non somiglierà più a nessuno. Sono gli anni delle terrazze, delle cancellate, delle antenne romane, dei riflessi sulla volkswagen. Momento già maturo, che non farebbe pensare al ritorno in Sicilia, alla necessità di Itaca come luogo del suo dipingere. Avverrà alla fine degli anni Sessanta quando per molti mesi, dalla tarda primavera all'autunno sarà la sua casa di Punta Corvo, tra Cava d'Aliga e Sampieri il punto di osservazione. Comincerà allora l'avventura infinita del mare e quell'incontro sarà definitivo, come da lì a qualche anno sarà definitivo il suo dipingere gli Iblei nelle sue brulle colline ocra rese inquete e teriomorfe dalle ombre portate dalle nuvole.

Il mare comunque diventa protagonista e la scelta sarà per le linee orizzontali, per le correnti marine orizzontali, per la linea dell'orizzonte in cui ancora c'è la sagoma delle petroliere, per i fili del telefono o della luce elettrica che si interpongono tra il suo punto di osservazione e l'azzurro piatto o baluginante di pepite di luce dorata. Quel mare negli anni successivi comincerà a trasformarsi, la superfice diventerà febbricitante, respirerà in modo inquieto, diventando sola protagonista di ansie, di ritmi che s'increspano con tessiture rosate e violacee. Al lento lavoro del dipingere affiancherà l'urgenza e la necessità di una cattura immediata di una emozione dello sguardo, mediante il pastello, l'altro compagno di strada oltre all'olio, alla matita e al carboncino. L'olio sarà l'istituzione, la costruzione solida di una meditata riflessione; il pastello è emozione pura resa in presa diretta, e i cicli seguiranno uno dopo l'altro da quelli dedicati agli ibischi ai carrubi, al Viaggio intorno a Friedrich, alla Norma, al Tristano e Isotta, alla Cavalleria rusticana al Gattopardo. Ma la scommessa col mare continua, ed è l'inconscio a dettare le regole. Davanti alla grande tela "Studio per l'ultimo mare" dell' '83 mi dice: "penso di finire col mare, oramai lo so dipingere". La coscienza sarà smentita, perché il mare ritornerà ad essere l'ossessione fino agli ultimi suoi oli. Quel mare diventa un universo infinito di possibilità, luogo di ansia, di tensione per diversi momenti, luogo della serenità: rendere la serenità poesia è grande scommessa che solo pochi hanno osato e possono osare. E l'azzurro cambierà nei decenni successivi, dall'azzurro che ancora richiama il blu, Piero cercherà di rendere l'azzurro più chiaro possibile. Anche le stesure cambieranno e dalle tessiture passerà alla compattezza delle stesure piatte e spesse come lastre riflettenti, fatte di luce. La ricerca andrà verso l'assoluto e sarà l'assoluto del mare e del cielo, che sempre più diventerà protagonista, e quel cielo da azzurro, negli ultimissimi anni, sarà un cielo di luce, sarà visibilio, sarà reale e paradisiaco nello stesso tempo. Avverto nelle sue opere San Francesco e il suo Cantico, "Laudato sie mi Signore cum tucte le tue creature …spetalmente messer lo frate sole…laudato si mi signore per sora nostra luna e le stelle… laudato si mi signore per sor acqua,… laudato mi Signore per sora nostra terra". Avverto l'"Infinito" di Leopardi: gli interminati spazi,… i sovrumani silenzi,… la profondissima quiete… l'eterno che sovviene,… l'immensità,… il naufragar nel dolce mare". Avverto nella sua luce il Paradiso di Dante. Ma il miracolo delle opere di Piero è che quel "visibilio" resta nel visibile, non è sogno, è realtà ed possibile vederlo con i nostri poveri occhi.

C'è poi l'altro grande libro di Piero, il libro dei classici, dei pittori, degli scultori, degli artisti introiettati, di quelli amati, di Munch e di Bacon, pittori di tragedia, di dramma, di dolore, dei d'après, opere altrettanto commoventi, altrettanto sublimi. Michelangelo innanzitutto che ha attraversato in quasi tutte le sue opere, Caravaggio, Leonardo, Tiziano, Giorgione, Masaccio, Antonello, Correggio, Pontormo, Signorelli, Mantegna, Raffaello, Guido Reni, Hayez, Fattori e alcuni grandi classici europei, Friedrich, Velazquez, Vermeer, Ingres, Courbet, Manet, Durer, Van Dick e l'elenco per quanto necessario, sarebbe ancora lungo. L'opera amata affrontata come un paesaggio, talora nel suo assieme, talaltra in un brano, un amore reso nel punto nodale della bellezza formale, dell'invenzione, della creatività, partecipando, in un processo a ritroso, al fare dei suoi autori, lavorando spesso in modo lenticolare su dimensioni minime, come un pittore fiammingo del Quattrocento. La "Pietà" di San Pietro michelangiolesca reinventata nella sua polifonia melodica con la matita, col carboncino, il "Prigione morente" del Louvre, ripreso più volte nel suo sensuale abbandono liberatorio verso l'ascesi, la serena constatazione della dolce morte nel volto del Cristo nella "Deposizione" di Santa Felicita del Pontormo, la potenza dell'Eraclito di Raffaello nella "Scuola di Atene", come devoto riconoscimento a Michelangelo. Il costante ritorno su quel grande teatro di morte quale è stato ed è la "Decollazione del Battista" di Malta di Caravaggio, studio per un atto della "Norma" di Vincenzo Bellini, indagato e reso nel nodo centrale della testa del Battista e del drappo rosso, emblema del rosso sangue; e del Caravaggio ancora quel piccolissimo volto dell'autoritratto caravaggesco, reso nella testa mozza del "Davide e Golia" che Piero mette nella mano del "Perseo" del Cellini.
L'attenzione per la Sicilia: per l'Etna, per Monte Pellegrino, per Erice, per le facciate barocche di Scicli, di Modica, di Ragusa, di Noto, per i campi di grano tra Vizzini e Catania, per gli aranceti della piana; ed ancora l'attenta e minuziosa analisi dell' "Annunciazione" di Antonello, del "Trionfo della Morte" di Palermo, del "Giovane di Mozia", di alcune maschere del Teatro greco.
Piero, pittore europeo: piantando le tende in questo lembo di Sicilia, in questi luoghi ha ambientato la Gallia di Norma e Pollione, ha raccontato la Germania e le nebbie nordiche di Friedrich e di Wagner, ha raccontato la Norvegia di Munch, conferendo un'anima ai luoghi, con l'eroica consapevolezza che è possibile che l'estremo lembo dell'Europa sia scenario di narrazioni letterarie e musicali nati e pensati per altri e lontani contesti.
Piero artista di sintesi, di condivisione, di promozione di una cultura figurativa legata alla sua terra, ha alimentato il Gruppo di Scicli, un'esperienza unica nel panorama italiano per la sua lunga e intensa durata, dal primo nucleo del 1981 fino ad oggi, con Franco Sarnari, Sonia Alvarez, Franco Polizzi, Carmelo Candiano. Poi sono arrivati gli altri: Caruso, Puglisi, Zuccaro, Colombo e ancora Roccasalva, Paolino, Antoci, Bracchitta, Chessari, Iudice, La Cognata, Lissandrello, Fiorilla, Puzzo, un'esperienza che ha visto presente il gruppo in tanti centri siciliani, italiani, andando anche oltre oceano, negli Stati Uniti.
Piero parte attiva del Movimento culturale "Vitaliano Brancati", di cui è stato primo presidente, coscienza civile con scritti costanti nel "Giornale di Scicli": una esperienza esaltante in un paese del profondo sud.
Da parte nostra ti siamo riconoscenti e debitori. E ti è debitrice la Sicilia intera. Non ci hai lasciato soli, le tue opere accompagneranno noi e tante altre generazioni nella esistenza personale e collettiva. Con grande affetto.

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Foto Rosalba Nifosì. 


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