Cultura Il Metodo sbagliato

Montalbano e Mister Hyde, l’errore di seguire l’incoerenza di Camilleri

Un libro illogico, una puntata da evitare: il commissario finisce in bruttezza, non solo per Livia

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 Ragusa - La fine della relazione con Livia è l’unico elemento che retrodata il libro Il metodo Catalonotti rispetto a Riccardino, in cui Livia c’è ancora e che altrimenti avrebbe potuto benissimo rappresentare, cronologicamente, la vera ultima puntata di Montalbano. Sia cartaceo che televisivo. Anche nel penultimo uscito nel 2019, Il cuoco dell'Alcyon, la sua storica compagna ricompare come nulla fosse. Scrivo da fan e solo ora perché, come credo Livia, ci ho messo un po’ a riprendermi dall’ultimo episodio. Credo sia stato l’unico finale d’amore indesiderato di una serie tv, che invece di farmi sorridere mi ha disturbato e lasciato interdetto, con l’amaro in bocca. Per la prima volta mi sono sentito più nei panni di Livia, nonostante sia apparsa solo per pochi istanti, che in quelli del protagonista: un cascamorto impermeabile a ogni empatia, di imbarazzante pochezza, a cui di adulto e maturo resta solo l’iscrizione all’anagrafe. La tanto breve quanto intensa interpretazione di Sonia Bergamasco al telefono è l’unica emozione che rimane. Ma era Montalbano quello che ho visto? A me è parso un altro personaggio, di un’altra fiction. E’ vero che si può cambiare, ma non da una puntata all’altra, trasformandosi all’improvviso nel Mister Hyde dell’uomo innamorato degli esordi, che piaceva anche perché resisteva alle avances e s’incaponiva nei suoi “gialli”: non c’è più l’indagine nella testa poliziotto, e neanche in quella degli spettatori.

Luca Zingaretti in realtà non ha fatto altro che riprodurre la trama di quello che è l’ultimo libro scritto, o meglio dettato, dall’autore. Aspettarsi un finale diverso significa non averlo letto: la sceneggiatura è rimasta fedele all’originale. Vederlo dal vivo su uno schermo, con i propri occhi - sapendo che non ci sarà un seguito - fa semplicemente più effetto che leggerlo su un foglio di carta e immaginarcelo nella mente. Sguardi, toni, atteggiamenti e frasi - impressi su pellicola - non lasciano più spazio alla nostra fantasia, per riequilibrare situazioni e passaggi stridenti. Ma è proprio il libro, infatti, ad essere sbagliato. E realizzarci un episodio tv ha significato perseverare l’errore, girando il dito nella piaga. Perché la storia contiene due incoerenze, temporale e narrativa. Si può dire? Anche ai grandi può succedere. Perché Andrea Camilleri ha tarpato il racconto in questa maniera, sapendo che nel cassetto ce n’erano almeno altri due sarebbero usciti, contando il postumo e avrebbe potuto chiudere alla perfezione la saga senza dover rappresentare necessariamente un flash-back? Nell’inconscio era suo il sogno proibito e tardivo, quello di rifarsi una vita con una che sembrasse la nipote? Perché togliere di mezzo una figura cardine quando negli ultimi racconti, quello realmente di commiato, Livia riappare come nulla fosse? Riccardino finisce inoltre con la scomparsa di Montalbano e, se rappresenta un salto indietro nel tempo, rende logicamente impossibile quanto accade, successivamente, nel Cuoco e in Catalanotti.

Un guazzabuglio di incoerenza spiegabile solo in due modi: Camilleri era forse, comprensibilmente, un po’ annebbiato quando ultra 90enne ha riascoltato ciò che aveva dettato all’assistente, in quell’inedita modalità di “scrittura” che l’ha accompagnato negli ultimi anni; oppure anche il Cuoco era una vecchia sceneggiatura ripescata dando fondo al cassetto e non pensava che sarebbe rimasto l’atto finale prima di Riccardino. Forse credeva che avrebbe avuto tempo di dettarne ancora uno, in cui dare un minimo di logicità cronologica agli eventi, coprendo il lasso di tempo che manca alla narrazione. La rottura impone una spiegazione di cosa sia successo poi, per ricomporla: una continuazione in cui, con un altrettanto clamoroso colpo di scena, Livia sarebbe piombata a Vigata per riprendersi il suo, e il nostro, Salvo Montalbano. E qui c’è la seconda incoerenza di Catalanotti, dopo quella logica: l’opportunità di rivoltare come un calzino quello che fino ad allora era stato un campione di sensibilità, un uomo di polso e spessore morale, non uno “come tutti gli altri”. Non è Montalbano quello lascia senza una parola una donna che gli è stata a fianco, aspettandolo per una vita, con cui si era arrivato a un passo dall’adottare un figlio: se n’è accorto Camilleri che l’ultimo commissario che ha dipinto è un vigliacco, che non c’entra nulla coi precedenti? O pensava che era tutto normale, che non fosse poi così vergognoso tradire e abbandonare una compagna ancora innamorata, che non ha fatto nulla per meritarsi un trattamento del genere da parte di un uomo che, con le spalle della solitudine coperte dal pensiero di una ragazzina infatuata che lo aspetta, passa come un carro armato sui sentimenti dell’affetto fino a quel momento più caro. Magari sarebbe pure tornato sui suoi passi, con la coda fra le gambe, se la tipa non fosse scesa dal treno. Non ci sarebbe stato da stupirsi: è uno “come gli altri”, no? Con tutto il rispetto per l’immenso scrittore, può anche starci un episodio uscito male in una sequela di grandi successi: peccato che sia stato proprio quello finale.

Non era un libro di congedo, e non lo è stata la puntata: se la soluzione in semi solitaria del caso fine a se stessa, al di là dell’utilità processuale, è ancora una caratteristica della saga, mancano gli elementi che inquadrano l’episodio come un saluto al pubblico, a cominciare l’assenza dei caratteristi di contorno, che ne hanno contributo in maniera determinante alla fortuna della serie: a parte Mimì Augello, in versione semi demenziale, in Catalanotti tutte le altre figure – che avrebbero dovuto avere più spazio in un capitolo di commiato dal pubblico - sono completamenti assenti: qualche comparsata per Fazio, una diapositiva appena per Catarella. Punto. Per questo era una puntata che potevano risparmiarsi, e per questo non ne gireranno un’altra. Livia sconcertata, sola, all’altro capo della cornetta, mentre il silenzio assordante di Montalbano manda in frantumi in pochi secondi un’esistenza intera, senza una spiegazione , è stata la scena migliore di una puntata tutto sommato sottotono, come lo era già stata la penultima firmata Zingaretti.  Altro che record di ascolti: quello fu registrato a febbraio 2018 con La giostra degli scambi, che incollò davanti allo schermo 11.386.000 persone (45,1% di share). Poi si va indietro: 11.268.000 (44% share) nel 2017 con Come voleva la prassi; 10.862.000 (39%) nel 2016 con Una faccenda delicata; 10.715.000 (38%) con Una lama di luce nel 2013. I 9 milioni del Metodo Catalanotti restano tanti ma, come la parabola del Covid, lasciano intravedere l'affiorare di una stanchezza anche nel pubblico, oltre che nel protagonista. La programmazione l’8 di marzo è stata la ciliegina sulla torta. Poteva finire prima, in gloria, anziché con questo titolo di coda monco, dal beffardo “lieto fine”. 


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